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‘Questa legge sul clima è ancor più pericolosa della precedente’

Il consigliere agli Stati e presidente dell’Udc Marco Chiesa spiega perché occorre dire no il 18 giugno. ‘Approvvigionamento energetico non garantito’.

Il presidente dell’Udc Marco Chiesa
(Keystone)
2 giugno 2023
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Marco Chiesa, davvero non abbiamo imparato niente dal no di due anni fa alla legge sul CO2?

Questa legge è ancora più pericolosa di quella respinta nel 2021. È un costoso e utopico salto nel buio.

Ci spieghi.

Renderà ancora più insicuro il nostro approvvigionamento energetico e non avrà alcun impatto sui cambiamenti climatici. La Svizzera è responsabile dello 0,1% delle emissioni mondiali. Vietando le energie fossili aumenterà massicciamente la richiesta di elettricità, in particolare in inverno, malgrado ci troviamo già nel mezzo di una crisi energetica. Il nostro Paese non è in grado di garantire la produzione di una quantità sufficiente di elettricità indigena da fonti rinnovabili e a prezzi accessibili. Questa legge renderà dunque più salata la bolletta elettrica per tutti i cittadini e le aziende.

Il suo partito parla di “un divieto dei combustibili fossili”. Che però non sta scritto da nessuna parte.

La legge fissa obiettivi vincolanti e scadenzati di riduzione delle emissioni di gas serra; e la Confederazione deve “provvedere” affinché vengano raggiunti. Si tratta dunque di una normativa subdola, di un divieto implicito di utilizzare fonti fossili. Entro il 2031 dovremo dimezzare le emissioni, azzerarle entro il 2050. Ciò significa stravolgere nuovamente il nostro mix energetico, già messo sotto pressione dal prossimo abbandono dell’energia nucleare.

La legge sul clima e l’innovazione non contiene alcun divieto: è proprio questa la differenza con l’iniziativa per i ghiacciai.

Il fatto che i promotori ritirino l’iniziativa qualora la legge sul clima venga accettata, dimostra che ritengono accolte la loro richiesta principale: il divieto di utilizzo di energie fossili. Fissare obiettivi tanto drastici di riduzione delle emissioni di CO2 significa vietare di fatto l’utilizzo di olio da riscaldamento e motori a combustione. Questa è un’evidenza che i sostenitori della legge nascondono alla popolazione.

Lo scenario estremo di una Svizzera completamente autarchica, che produce in casa tutta l’energia di cui ha bisogno, non è quello su cui si basa la Confederazione. E poi la legge disegna un’uscita morbida – all’orizzonte 2050, e senza divieti – da carburanti e combustibili fossili.

Considerando il notevole aumento della popolazione, causato dall’immigrazione di massa, e la digitalizzazione in atto, dimezzare le emissioni entro il 2031, non mi sembra un’uscita tanto morbida. Il nocciolo del problema è questo: nessuno sa come si potranno raggiungere questi obiettivi. Non possiamo garantire un approvvigionamento energetico sicuro ed economico rinunciando, allo stesso tempo, alle energie fossili che rappresentano il 60% del nostro mix energetico e abbandonando la produzione del 30% dell’elettricità prodotta dalle nostre centrali nucleari.

Lei deplora l’abbandono del ‘nostro mix energetico’. Non è importante andare nella direzione di una maggior indipendenza dall’estero?

Secondo uno studio del Politecnico federale, per raggiungere l’indipendenza energetica utilizzando energie rinnovabili, dovremmo installare l’equivalente di 80mila campi da calcio di pannelli fotovoltaici. Per lo stoccaggio sarebbe poi necessario disporre di 5 milioni di batterie tipo Tesla e costruire 17 nuove centrali di pompaggio delle dimensioni della Grande Dixence. È utile ricordare che non esistono in Svizzera sufficienti vallate adatte da allagare a questo scopo; l’impatto sulla natura e il nostro paesaggio sarebbe evidente. Questa legge poggia, dunque, su una grande ipocrisia: ci dice dove vogliamo arrivare, ma non come possiamo arrivarci.

La legge sul clima e l’innovazione si limita a indicare gli obiettivi, la strada da seguire. Le misure concrete sono definite in altre leggi approvate o al vaglio del Parlamento, come quelle sul ‘solare alpino’. E di certo non prevedono la costruzione di 5mila turbine eoliche o degli impianti da lei citati.

L’impianto di Grengiols [in Vallese, ndr], che rientra nella grande offensiva solare nazionale, è stato ridimensionato a un sesto di quanto previsto. Produrrà 110 GWh annui grazie a 160mila pannelli solari. Oso maliziosamente pensare di provenienza cinese... Solo, e sottolineo solo, per sostituire l’energia nucleare che dismetteremo, necessitiamo più di 160 impianti di questa dimensione. Per capirci meglio restiamo in Ticino, pensiamo al Tamaro [il progetto promosso dall’imprenditore e consigliere nazionale Rocco Cattaneo, ndr]: 17’500 pannelli solari distribuiti su 10 campi da calcio per una produzione annuale di 15 GWh. In questo caso dovremmo costruirne più di 1’200. E le ricordo che questi investimenti non modificano ancora nulla del nostro fabbisogno di energie fossili. Rimpiazziamo solo energia nucleare senza CO2 con altra energia rinnovabile senza CO2.

L’alternativa quale sarebbe? Centrali nucleari di nuova generazione, che se va bene saranno pronte fra 20-30 anni? Nel frattempo cosa facciamo? La duplice sfida della protezione dell’approvvigionamento energetico e della protezione del clima richiede risposte rapide.

Chi vuol far credere che la Svizzera possa influire sui cambiamenti climatici mondiali è accecato dall’ideologia e promette ciò che non può realizzare. Rimane il fatto che è fondamentale pensare al futuro energetico del nostro Paese. A questo proposito, l’Università di Oxford ha concluso che dal 1990, più della metà dei reattori sono stati costruiti in meno di sei anni; solo il 10% ci ha messo più di dieci anni. Sul nucleare però è chiaro che abbiamo già perso troppo tempo. E non dovevamo chiudere la centrale di Mühleberg, tanto per cominciare.

Mühleberg è stata chiusa dal gestore, che considerava l’esercizio non più redditizio a medio-lungo termine.

Vero, la Bkw ha preso questa decisione. Ma la Strategia energetica 2050 della Confederazione [approvata dal popolo nel 2017, ndr], ossia l’abbandono del nucleare, è stato un segnale chiaro per i gestori. Purtroppo, questa strategia è fallita come avevamo previsto e le rassicurazioni del Consiglio federale non hanno retto alla prova dei fatti. Attualmente, nel mondo, sono in costruzione una cinquantina di impianti nucleari. E molti altri sono in pianificazione, anche in Europa. La commissione economica delle Nazioni unite caldeggia questi investimenti in quanto, a sentire loro, il nucleare è la più importante fonte di energia senza CO2 ed è proprio quella che permetterà di raggiungere gli obiettivi climatici.

In Svizzera gli esperti calcolano che ci vorrebbero almeno 20 anni prima che una nuova centrale nucleare cominci a produrre elettricità. Ammesso e non concesso che vi sia qualcuno ancora disposto a investire in questa tecnologia.

Visto il numero di impianti in costruzione, mi permetto di ritenere che qualche investitore ci sia. Condivido, tuttavia, che tanto, troppo tempo è andato perso. Questo bisogna dirlo a chi negli anni passati ha promesso in Parlamento e nelle tribune pubbliche che in Svizzera l’approvvigionamento sarebbe stato sempre garantito e con soli 40 franchi di sovrapprezzo. La cruda realtà è che le promesse della Strategia energetica 2050 erano solo delle utopie. Al momento nessuno in Svizzera è in grado di garantire che non vi saranno dei black-out durante i prossimi inverni. Ricordiamo tutti con sconcerto le parole pronunciate da Werner Luginbühl, presidente della Elcom [l’autorità di regolazione del settore elettrico, ndr], che, solo l’anno scorso, ha invitano gli svizzeri a munirsi legna e di candele; o quelle della consigliera federale Simonetta Sommaruga, che ci consigliava di fare la doccia in due. Questa non è la strategia energetica che voglio per il mio Paese!

Avete un piano alternativo?

Bisogna eliminare il divieto di sviluppare e investire in nuove tecnologie. In Parlamento l’abbiamo appena richiesto, ma purtroppo i rappresentanti di Plr e Centro non ci hanno sostenuto. Poi dobbiamo garantire misure a corto-medio termine. Misure che inevitabilmente hanno più il sapore di un salvataggio che di una vera e propria strategia. Penso alle centrali a gas e alla centrale di Birr mentre si realizzano altri investimenti come, ad esempio, l’innalzamento della diga del Grimsel, che in Parlamento abbiamo sostenuto, e lo sviluppo delle energie rinnovabili. Non è un compito agevole, ma pensiamo ora cosa accadrebbe se oltre all’attuale crisi energetica aggiungessimo pure l’eliminazione delle energie fossili.

Denunciate il rischio di una penuria energetica invernale, sparate a zero su una legge “divoratrice di elettricità”. Mentr il vostro ministro dell’Ambiente, Albert Rösti, insiste sul fatto che i 2 miliardi di aiuti previsti per i proprietari di case serviranno soprattutto a promuovere la sostituzione di riscaldamenti elettrici, impianti che nel periodo invernale consumano circa il 10% dell’elettricità in Svizzera.

Quanto costa una termopompa? Fra i 30mila e i 40mila franchi. In Svizzera abbiamo 900mila edifici riscaldati con vettori fossili. Sostituirli tutti, ammesso e non concesso che vi sia abbastanza elettricità per farle funzionare, costerebbe dunque 36 miliardi di franchi. La legge ne mette a disposizione 2 di miliardi. In media il sussidio è dunque di 1’800 franchi. Non credo proprio che questo importo sia decisivo. Anche perché un tale cambiamento comporta di norma un risanamento energetico globale della casa (un ‘cappotto’ per isolarla, la sostituzione dei radiatori, ecc.), che costa centinaia di migliaia di franchi. Queste spese non tutti le possono sopportare. E in molti casi queste migliorie ricadranno sugli affitti degli inquilini.

Non le sembra importante sostituire riscaldamenti elettrici che in inverno ‘divorano’ circa il 10% dell’elettricità consumata?

Certo, sia per l’eccessiva elettricità consumata che per una questione meramente economica. Chi possiede dei riscaldamenti elettrici divoratori d’energia pagherà un costo esorbitante di bolletta. Già oggi conviene dunque investire in tecnologie più efficienti. Questo non implica però l’esigenza di vietare tramite una legge l’utilizzo di energie fossili.

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