laR+ Visto umanitario

Donna? Vedova? Hazara? Per il Taf non basta

La scorsa estate la Segreteria di Stato della migrazione (Sem) ha modificato la sua prassi riguardo alle domande d’asilo delle donne provenienti dall’Afghanistan: considerate vittime di leggi discriminatorie e di persecuzioni a sfondo religioso, a loro viene ormai concesso in linea di massima l’asilo. A beneficiarne sono le donne afghane che già si trovano in Svizzera, alle quali fino ad allora veniva di regola concessa soltanto l’ammissione provvisoria. Le donne che invece si trovano nel Paese d’origine, o che sono fuggite in un Paese limitrofo, non possono chiedere l’asilo in un’ambasciata svizzera. Tale possibilità è stata abolita nel 2012 e rimpiazzata dal cosiddetto visto umanitario. Che però sottostà a principi differenti – più restrittivi – rispetto all’asilo.

A farne le spese è ora una vedova afghana, alla quale – secondo il Tribunale amministrativo federale (Taf) – è stato giustamente negato il visto umanitario, poiché non è esposta a un pericolo maggiore rispetto al resto della popolazione. La donna aveva richiesto il visto attraverso l’ambasciata svizzera in Pakistan, anche per due figlie e un figlio minorenne. Per accordare un visto di tale tipo bisogna che la vita e l’integrità fisica della persona interessata siano direttamente, seriamente e concretamente minacciate. Un rischio solo ipotetico – derivante dal ‘semplice’ fatto di essere donna, di non poter contare su un capofamiglia di sesso maschile, o ancora di appartenere a una determinata etnia, in questo caso degli hazara perseguitati dai talebani – non è sufficiente, afferma la Corte di San Gallo nella sentenza (definitiva) pubblicata ieri, con la quale conferma il punto di vista della Sem. SG