Svizzera

Il contact tracing ha individuato il 40% dei casi di Covid

Lo studio dell'Università e dell'Ospedale universitario di Ginevra dimostra che la tracciabilità dei contatti non è sufficiente durante una pandemia

Un centro di tracciamento in Svizzera
(Keystone)
31 gennaio 2024
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Circa il 40% delle persone che hanno contratto il coronavirus sono state identificate attraverso le cosiddette applicazioni di contact tracing. Lo ha rivelato uno studio condotto da epidemiologi dell'Università di Ginevra e dell'Ospedale universitario di Ginevra (Hug), i quali hanno dimostrato che la sola tracciabilità dei contatti non può essere considerata sufficiente durante una crisi pandemica.

Per valutare l'efficacia di questa misura anti-Covid, i ricercatori hanno analizzato oltre 142'000 casi di infezione registrati tramite l'app nel canton Ginevra tra giugno 2020 e febbraio 2022.

Come in molti altri Paesi, durante il Covid, anche la Svizzera si è dotata dello strumento di tracciabilità per individuare le persone potenzialmente positive o contagiate da un loro conoscente. Una strategia che però ha rivelato i propri limiti – come mostra lo studio pubblicato sulla rivista specializzata "Eurosurveillance" – e che testimonia che il solo monitoraggio dei contatti non è sufficiente per far fronte all'espansione delle epidemie.

"L'efficacia di questa strategia dipende principalmente dalle caratteristiche della malattia in termini di sintomi, contagiosità e modalità di trasmissione", spiega, citata in una nota odierna, Delphine Courvoisier, professoressa assistente presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Ginevra nonché responsabile del trattamento dei dati presso il Servizio del medico cantonale durante la pandemia. "Nel caso dell'Ebola, ad esempio, dove i pazienti risultano contagiosi solo dopo la comparsa dei sintomi, oppure, per citare una malattia infettiva più ‘vicina a noi’ come il morbillo, la tracciabilità dei contatti si è mostrata efficace nell'impedire ulteriori trasmissioni".

Secondo lo studio, il solo impiego di questo strumento però non basta per far fronte alla diffusione di un'infezione altamente contagiosa come il Covid, trasmissibile appunto già prima del manifestarsi di eventuali sintomi. Per prevenire il propagarsi di questo genere di infezioni gli autori dell'indagine suggeriscono quindi di adottare parallelamente anche altre misure, quali l'uso di mascherine, filtri per l'aria e la limitazione degli assembramenti.

Fattore socio-economico rilevante

Per determinare il numero di persone identificate dal contact tracing, gli esperti hanno esaminato i residenti presso il medesimo indirizzo che sono risultati positivi al test Covid nel giro di dieci giorni.

Dallo studio è quindi emerso che il contesto socio-economico ha giocato un ruolo determinante per quanto riguarda la segnalazione dei casi positivi.

Le persone che durante la pandemia risiedevano in grandi edifici o palazzi che dispongono di aree comuni, tendono ad avvisare più di rado eventuali contatti avuti con altri abitanti. Secondo i ricercatori, ciò è dovuto probabilmente a omissioni involontarie, poiché spesso in questi casi i condomini non conoscono di persona i loro vicini. Per esempio, è possibile che un residente si sia infettato in ascensore senza avere avuto necessariamente un contatto diretto.

Inoltre, secondo lo studio, gli abitanti che vivevano in quartieri benestanti hanno segnalato i loro contatti con minore frequenza. Questo risultato – hanno precisato i ricercatori – può essere in parte riconducibile al maggiore spazio a disposizione nelle abitazioni e al tipo di professione da loro esercitato e che ha consentito loro di poter lavorare da casa in home office e in isolamento.

Questi dati dimostrano dunque anche l'importanza di coinvolgere sociologi e antropologi nello sviluppo e nella valutazione di politiche sanitarie future, concludono i ricercatori, così da comprendere meglio i fattori umani che determinano il successo o il fallimento di una misura che ha lo scopo di tutelare l'intera popolazione.

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