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L’‘effetto valanga’ del discorso sul ‘caos dell’asilo’

L’Udc ha imperniato la campagna elettorale attorno a uno dei suoi temi prediletti. L’analisi del sociologo dei media Linards Udris

Per l’Udc la consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider (oggi in visita a Chiasso) è ‘un rischio per la sicurezza della popolazione’
(Keystone)
7 novembre 2023
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‘Caos dell’asilo’; ‘Follia-asilo’; la consigliera federale del Ps Elisabeth Baume-Schneider ‘rischio per la sicurezza della popolazione svizzera’; ‘No a una Svizzera da 10 milioni – stop all’immigrazione di massa’; ‘Ne arrivano troppi, e quelli sbagliati’.

Forse come mai prima d’ora l’Udc ha dimostrato, con una raffica di slogan su tutti i canali di comunicazione, la sua capacità di fuoco in una campagna elettorale. Nella martellante narrazione democentrista, anche Chiasso (definita dal ‘Blick’ “la Lampedusa della Svizzera”) ha avuto il suo momento di gloria. «Nessuno di voi vivrebbe e abiterebbe oggi a Chiasso», ha detto la domenica elettorale Marco Chiesa, incalzando gli altri presidenti di partito durante la ‘Elefantenrunde’ della Srf da Palazzo federale.

Due cavalli di battaglia

Linards Udris conferma: «Sì, mi ha colpito il fatto che nei media l’Udc sia stata molto più presente che in passato. Un po’ com’era accaduto nel 2015, con due dei suoi temi preferiti: l’immigrazione e l’asilo», dice a ‘laRegione’ il sociologo dei media, che da parecchi anni osserva la scena mediatica svizzera e la comunicazione politica del primo partito del Paese.

L’Udc aveva abbozzato una diversificazione. Dapprima tematizzando il fossato città/campagna. Poi attaccando “l’ideologia del politicamente corretto” (“il terrore gender, la follia Woke, la Cancel Culture”). Ma alla fine a dominare sono stati due classici cavalli di battaglia. Al punto che nemmeno la neutralità (rilanciata con un’iniziativa popolare il cui ‘padrino’ è nientemeno che Christoph Blocher) è riuscita a far breccia.

Ne è risultato un discorso quasi monotematico. «Fra i temi forti dell’Udc, la questione migrazione/asilo è quella che funziona meglio. Per un simile partito, con un vasto zoccolo duro di elettori da mobilitare, imperniare una campagna attorno a uno o due temi principali è sicuramente una scelta vincente», spiega il vicedirettore della ricerca al Centro di ricerca pubblico e società (fög) dell’Università di Zurigo.

L’iniziativa detta ‘No a una Svizzera da 10 milioni!’, lanciata quest’estate, ha contribuito a definire il ‘setting’ della campagna. Anticipato all’inizio del 2023 da alcuni media, il tema – rimasto per anni fuori dai loro radar – è tornato immediatamente (e prepotentemente) alla ribalta. Udris parla di «effetto valanga», di una reazione a catena: come se, una volta lanciato, nessuno (gli stessi media, i sondaggisti, gli altri partiti) potesse più evitare di dire (o di rispondere) qualcosa in proposito.

Dal discorso politico al vocabolario corrente

Il sociologo volge lo sguardo al passato. «Una decina d’anni fa – ricorda – l’Udc ha fatto una scelta intelligente dal punto di vista del marketing politico: ha riformulato la problematica dell’immigrazione, inquadrandola come ‘Dichtestress’ [termine intraducibile in italiano, che evoca uno ‘stress da densità di popolazione’, ndr]. Il neologismo, che vent’anni fa non esisteva, è stato coniato da esperti in materia. L’Udc l’ha fatto suo, trasformando così l’immigrazione in un problema generalizzato: treni affollati, code sulle strade, penuria di alloggi e via dicendo. Allora funzionò perfettamente: l’iniziativa ‘contro l’immigrazione di massa’ venne approvata in votazione popolare [nel febbraio del 2014, ndr]. Nel frattempo, l’argomento ‘Dichtestress’ si è imposto nel vocabolario corrente. Oggi molti media usano questo termine senza nemmeno virgolettarlo, come se fosse qualcosa di naturale, di scontato, e non un prodotto di un ben preciso discorso politico».

Del tutto ‘normale’ e ampiamente accettato (al punto da essere votato oggi da quasi un avente diritto su tre) è lo stesso partito che veicola questo discorso. “Normalizzazione di un partito populista di destra”, la definisce sulla ‘Wochenzeitung’ lo storico Demir Skenderovic dell’Università di Friburgo. Ancora Linards Udris: «Una certa forma di ostilità, di scetticismo nei confronti degli stranieri – quando non di xenofobia – ha una lunga tradizione in Svizzera ed è diffusa ben oltre l’elettorato democentrista. Basti pensare alle iniziative Schwarzenbach, negli anni 60 e 70. Però il razzismo – come quello che stava al cuore del nazionalsocialismo e del fascismo – non appartiene alla cultura politica elvetica. E questo potrebbe spiegare perché in Svizzera, diversamente da quanto avviene altrove, si guarda con minor malevolenza a forme più morbide di ostilità nei confronti degli stranieri. Insomma, l’idea è che ‘noi non siamo come gli altri’, che ‘queste cose noi non le facciamo’».

‘Capitale storico’

Da qui, appunto, la ‘normalizzazione’ e la vasta accettazione di un partito diventato ‘mainstream’. Un partito che, sfruttando il suo «capitale storico» – ovvero il fatto di «non aver inventato tutto questo, ma di essere nato semplicemente come un normale partito conservatore, agrario, borghese, e di essere per giunta da tempo ben presente in Consiglio federale e negli esecutivi cantonali» – ha buon gioco nel flirtare con un risentimento anti-stranieri piuttosto diffuso nella popolazione. L’Udc oggi è spesso in grado di definire la cornice discorsiva entro la quale le altre forze politiche sono costrette a posizionarsi. Il più delle volte maldestramente, com’è successo al Plr nella campagna in vista di queste elezioni federali. Il suo slogan sulla politica migratoria (‘Severa, ma giusta’) è rimasto inudibile in mezzo alla cacofonia creata ad arte dal partito di Marco Chiesa, favorita anche dalla latitanza di una certa sinistra perbenista.

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