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Jannik Sinner, il re senza più avversari

Nella finale dell’Australian Open, l'altoatesino contro Zverev ha di nuovo dimostrato che nessun rivale sa tenergli testa, almeno sulle superfici dure

In sintesi:
  • Dopo il nuovo trionfo a Melbourne, il secondo consecutivo, l’italiano pare davvero non avere più rivali, almeno per quanto riguarda le competizioni sul cemento
  • Il tedesco Alexander Zverev, che ha perso tutte le finali dello Slam disputate in carriera, pur essendo il numero 2 al mondo, non è riuscito minimamente a tener testa all’azzurro
  • L’unico avversario in grado di competere col 23enne altoatesino, ma solo sulle superfici lente, pare lo spagnolo Carlos Alcaraz, arrivato ai vertici prima di Sinner ma poi rimasto un po’ indietro nella crescita tecnica
28 gennaio 2025
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Il 5 settembre del 2023, a Flushing Meadows, New York, Jannik Sinner perde da Alexander Zverev. È una sconfitta tremenda, arrivata dopo una maratona da 4 ore e 4 minuti. Sinner era riuscito a trascinare il suo avversario al quinto set, ma poi – in preda ai crampi – aveva ceduto alla maggiore forza, fisica e mentale, di Zverev, che a quel punto era arrivato a batterlo per la quarta volta di seguito. C’era un pattern nelle sconfitte di Sinner contro i giocatori di alto livello: ogni volta che le partite si facevano agonisticamente intense, Sinner cadeva a pezzi pian piano, e non era semplice capire se i problemi partivano dalla testa o dal corpo. Come nella medicina medievale, i malanni dell’uno erano espressione dell’altro: un servizio perso causava un crampo alla gamba; un tie-break troppo tirato poteva far nascere un indurimento muscolare.

Col fisico filiforme, le gambe efebiche e quasi prive di muscolatura, l’espressione seria e dolente, Sinner non pareva troppo tagliato per i vertici del tennis, inospitale per chi non è duro come la pietra. Al termine di quella partita Zverev era raggiante: “Sono tornato”. Dopo il tremendo infortunio alla caviglia aveva superato un test fisico importante ed era quindi ripartita la caccia alla sua ossessione: vincere uno Slam.

Scenario ribaltato

È il 26 gennaio 2025, è passato appena un anno e mezzo da quella partita, eppure la scena è completamente diversa. Alexander Zverev tiene la testa chinata mentre davanti a lui Jannik Sinner gli tiene le mani sulle spalle. Ha appena perso la finale degli Australian Open ed è la terza sconfitta in una finale Slam per lui. È il sesto tennista della storia ad aver perso le prime tre finali. Nel 2020, contro Dominic Thiem, in una partita dominata dal terrore, aveva servito per il match, per poi farsi recuperare. Aveva 23 anni, il futuro sembrava suo, ma oggi, che di anni ne ha 27, quel futuro non è ancora arrivato. Con le mani sulle spalle Sinner gli dice che prima o poi arriverà il suo momento, alzerà uno dei trofei Slam. Gli dice che è troppo forte per non farcela. Eppure a Zverev assale il dubbio più atroce: che sia il più talentuoso a non riuscire a vincere uno Slam. “Non sono stato abbastanza bravo”, ha sintetizzato con brutale onestà ai microfoni.

Da quella sconfitta agli Us Open del 2023, Jannik Sinner ha giocato 108 partite e ne ha vinte 100. Ha affrontato Zverev altre due volte, e lo ha sempre sconfitto. A Melbourne ha difeso il suo primo Slam: era da Rafael Nadal (2006) che un giocatore non riusciva a difendere il suo primo Slam vinto. Progressivamente nelle loro partite la distanza tra Zverev e Sinner è diventata sempre più ampia e visibile. Nonostante stiamo parlando del numero uno al mondo contro il numero due. Nella finale questa distanza è stata brutale: Sinner ha vinto in tre set senza concedere nemmeno una palla break. È solo il terzo giocatore a riuscirci dopo Roger Federer a Wimbledon nel 2003 e Rafael Nadal a New York nel 2017. Quelle volte in finale erano però arrivati degli underdog con poche possibilità, come Mark Philippousis e Kevin Anderson, mentre qui c’era – appunto – il numero due al mondo. E allora da dove nasce questa distanza? Come è spiegabile in uno sport che ci ha abituato a un assoluto equilibrio competitivo, almeno nei suoi piani alti?

Troppo veloce per ogni avversario

Nella sua carriera Zverev si è guadagnato la fama del giocatore col braccino, che nei momenti più importanti delle partite più importanti si riduce a un atteggiamento passivo e disfunzionale. Indietreggia qualche metro dietro la riga e si limita a rimandare la palla di là. Non cerca il punto ma lo aspetta: una remissività che contro i grandi campioni di questo sport non paga mai. Va detto, però, che stavolta Zverev ha provato a fare le cose diversamente. È stato, fin dall’inizio, più attivo e aggressivo nello scambio. Ha cercato di togliere l’iniziativa a Sinner: fargli sentire la pressione. Alcuni dati lo dimostrano. Zverev ha tirato dritto e rovescio a una velocità superiore di 10 km/h rispetto alla media del suo torneo. La conseguenza sono stati 45 errori non forzati: tanti per un giocatore solitamente regolare come lui, ma che dimostrano due cose. La prima è che Zverev ha giocato in modo più rischioso del solito; la seconda è che è stato Sinner a costringerlo a forzare i propri limiti. Tendiamo a non farci troppo caso, perché il suo tennis non vive di fiammate come per esempio quello di Alcaraz, ma la velocità a cui gioca Sinner è insostenibile per i suoi avversari. Non stiamo parlando di accelerazioni ma di velocità media, di ritmo generale, di una realtà alternativa che Sinner riesce a generare in campo: una realtà accelerata, più rapida e scivolosa. Sul campo da tennis comincia a mancare l’aria. I colpi arrivano prima del solito, la pallina è bassa, tesa, infida. Dentro questo mondo subacqueo, che toglie il fiato, Sinner è l’unico con le branchie. Abita questa realtà senza sforzo apparente, mentre avversari teoricamente suoi pari come Zverev arrancano, perdono le misure e la presa sulle partite. Celebrando la sua vittoria Matteo Berrettini ha usato un nomignolo scemo ma che cattura alla perfezione questa sensazione di tennis accelerato, al cubo: Jannik Flipper.

Sinner sembra invulnerabile nello scambio. Sembra non avere punti deboli, e questo trasmette una sensazione di progressiva frustrazione agli avversari. Non sembra poter perdere gli scambi, né i game, né le partite. Sinner non perde mai. Negli ultimi 7 tornei giocati ne ha vinti 6. L’unico a riuscire a batterlo è stato Carlos Alcaraz nella finale di Pechino. Una sconfitta arrivata al termine di un tie-break miracoloso, in cui Alcaraz ha recuperato uno svantaggio di tre punti grazie a un momento di ispirazione tennistica divina. Un momento talmente estemporaneo da non essere davvero rappresentativo di una dinamica di qualche tipo.

Forte solo sul cemento?

Allora Sinner è davvero imbattibile? Se le cifre sembrano dire di sì – è il numero 1 al mondo con un vuoto di quasi 4’000 punti rispetto a Zverev – la ragione ci dice di no, con due premesse necessarie. La prima è che gli avversari di Sinner devono essere al massimo della condizione per avere delle chance di batterlo. Lo disse Alcaraz: «Se sono anche al 99% contro Sinner perdo». La seconda è che la sua invulnerabilità vale soprattutto su cemento. Zverev lo ha definito per distacco il miglior giocatore su cemento oggi, in un contesto in cui Djokovic è ancora in attività. Fuori dal cemento, con la sua velocità e la sua regolarità, il ritmo di Sinner diventa un po’ più gestibile.

Stiamo parlando di un giocatore che è arrivato in semifinale in carriera sia al Roland Garros che a Wimbledon, ma è sul cemento che il suo tennis diventa dominante. Ci sono due modi, per semplificare, per battere Sinner. Il primo è quello di allungare gli scambi e il punteggio. Sottrarre velocità al tennis, sporcare la partita, farla scorrere più lentamente. Appesantire il gioco, far sentire a Sinner la dimensione della fatica fisica e testarne i limiti: quelli atletici arrivano prima di quelli tecnici.

Il secondo è quello di spezzare il suo ritmo da fondo, la regolarità incessante delle sue traiettorie. Nessuno sta nello scambio, geometricamente, come Sinner. E allora bisognerebbe sconvolgere questa geometria: variare i colpi, le velocità, le altezze delle traiettorie e del campo. Giocare un tennis complesso. Più facile a dirsi che a farsi. Il dominio di Sinner nasce anche dall’incapacità dei tennisti di oggi a cercare un gioco meno lineare. L’unico capace di batterlo regolarmente nel 2024 è stato, non a caso, Carlos Alcaraz, il solo in grado di stare nello scambio da fondo con Sinner, ma anche di mescolargli un po’ le carte. Quello che serve per sottrarsi alla sua morsa.

Carlitos è l’unico rivale

Alcaraz fa un’altra cosa che dà fastidio a Sinner: sa giocare in modo estemporaneo. Quando è ispirato, sa prendere delle scelte sulla carta disfunzionali ma rese funzionali dal suo talento. Alcaraz sa essere imprevisto, e a Sinner non piacciono gli imprevisti. L’avversario che lo ha messo più in difficoltà nel torneo è stato Holger Rune, che ha giocato un tennis estemporaneo ai limiti del casuale. Non è stato abbastanza, ma per un attimo – per una breve finestra di tempo – Sinner è sembrato finalmente vulnerabile.

Quando la partita diventa lunga, irregolare e il suo avversario non gli offre un ritmo su cui appoggiarsi, il dubbio si insinua in Sinner. Insinuargli il dubbio è l’unico modo per incrinarne il dominio. Il dato sulle zero palle break concesse a Zverev dimostra la distanza fra i due, certo, ma anche la scrupolosa attenzione che Sinner mette per reprimere la dimensione agonistica della partita. Stringerla dentro la sua presa di ferro. Non vuole mostrarsi vulnerabile, perché sa che la partita potrebbe diventare più lunga, più sporca, più scomoda, e la semplice prospettiva non gli piace. Ama sentire la distanza dal suo avversario.

Una delle poche statistiche su cui Sinner non è eccezionale è quella delle vittorie al quinto set. Ne ha vinti solo 2 degli ultimi 9 giocati. Non ha mai vinto un match oltre le 4 ore nella sua carriera. Ma bisogna notare pure che ha giocato appena 15 quinti set in 21 Slam disputati. Pochissimi riescono a trascinarcelo, e lui sta molto attento a non farcisi trascinare in quel terreno di lotta e fatica che non gli piace affatto. Sinner non ama giocare attraverso la sofferenza e l’agonismo estremo. Appartiene più alla famiglia tennistica di Federer che a quella di Nadal o Djokovic, in questo senso. L’architettura di cemento armato del suo tennis è un modo per proteggersi dall’incertezza e allontanarsi dalla sconfitta.

Quando ha vinto il match-point a Melbourne, come già a New York, ha allargato le braccia e chiuso gli occhi verso il cielo. Tutto il suo corpo è sembrato esalare un sospiro di sollievo. È parso più sollevato che felice. Dopo la vittoria ha sintetizzato, in un’intervista, la sua filosofia: «Il dolore per una sconfitta è probabilmente più intenso rispetto alla gioia della vittoria. Purtroppo noi siamo tutti più attaccati alle cose che non riusciamo a fare, che è un nostro difetto».