Dopo aver toccato il fondo sul Ceresio è tempo di riemersione, con Steinmann in plancia comandi. E se ci mette la faccia lui, dev’essere lui a decidere
Forse a qualcuno non sarà sfuggito quel «magari bisognerà toccare il fondo per poi risalire», dato in pasto ai giornalisti la sera del 1. dicembre. Quando Hnat Domenichelli scelse di irrompere sulla scena per difendere un Luca Gianinazzi risvegliatosi nel mezzo della bufera, col Lugano penultimo in classifica dopo un’ennesima sconfitta, in casa, contro un Friborgo che non se la passava meglio. Parole profetiche, quelle dell’allora ‘diesse’, che si mostrò categorico sul tema: «Non sacrificherò un coach di belle prospettive per far felice qualcuno» disse, salvo che un paio di mesi dopo toccò proprio a lui sacrificarsi, assieme allo stesso allenatore.
Qualcuno si sarà chiesto se quella decisione maturata a metà gennaio arrivò fuori tempo massimo. La risposta, probabilmente, è sì, pur se in fondo di tempo ancora ce n’era, quantomeno per evitare di arrivare sul bordo del precipizio, cosa che al Lugano è riuscita solo in extremis, partendo da un pericolosissimo 0-2 nei playout contro l’Ajoie. Certo, il passato non si dimentica, ed è innegabile che senza un autunno straziante, tormentato da un infortunio sull’altro – da Thürkauf a Van Pottelberghe, da Schlegel a Joly (quest’ultimo, tra l’altro, nelle ultime settimane trascorse in tribuna si sarebbe lamentato del suo problema al piede) per non citare che i più significativi –, il Lugano sarebbe arrivato a fine regular season con diversi punti in più. Tuttavia, è innegabile, anche dopo le ammissioni degli stessi giocatori, che a quel tempo la situazione presentava già delle crepe che a poco a poco hanno iniziato rumorosamente a scricchiolare.
Inutile riaprire adesso il capitolo Gianinazzi, certo è però che se le cose hanno preso una brutta piega non è solo per colpa sua. Il problema stava a monte, ed è riemerso impietoso dopo le primissime partite della gestione Krupp: l’ultimo Lugano modellato da Hnat Domenichelli era qualitativamente troppo leggero all’infuori del cosiddetto ‘top six’, e di altre soluzioni proprio non ce n’erano, tanto che né Aleksi Peltonen, né un Reichle arrivato in corso d’opera hanno mai dato l’impressione di riuscire a scippare il posto ad altri quando questi non erano al meglio delle loro possibilità. Poi, ovviamente, c’è la questione degli stranieri, che non sono semplicemente stati all’altezza delle attese a livello di prestazioni, vuoi perché chiamati a rivestire ruoli che non erano i loro – e il pensiero, naturalmente, non può non andare a Dahlström –, oppure perché non hanno dimostrato di poter offrire impulsi maggiori (come Zohorna, ma non solo). Da questo punto di vista, avendo attualmente sotto contratto tre soli stranieri – cioè Joly, Sekac e Dahlström, tutti e tre in scadenza nel 2026 – il nuovo direttore sportivo Janick Steinmann avrà parecchio margine di manovra. Sempre che nel frattempo non capiti magari qualche sorpresa: in fondo, i contratti si possono anche rompere, ciò che non farebbe altro che aumentare ancor più il suo raggio d’azione. Vale per gli stranieri, ma in fondo il discorso è simile anche riguardo ai giocatori svizzeri, visto che qualche affare lo si può provare comunque a fare puntando su eventuali scambi: d’altronde, se il Ginevra dopo una stagione altrettanto deprimente sta cercando di sbolognare mezza squadra, perché non potrebbe provarci anche il Lugano?
Quel che è sicuro, è che nessun direttore sportivo può azzeccare tutti gli acquisti, difatti è impossibile. Altrimenti detto, per determinare empiricamente se un ‘diesse’ il suo l’ha fatto bene oppure no, basta sottrarre quelli riusciti da quelli toppati (o, nel caso peggiore, viceversa), e le cifre, impietose, dicono che Domenichelli di errori ne ha commessi parecchi, pur se a volte il confine può essere davvero labile, e il caso di Adam Huska ne è la prova. Ingaggiato in fretta e furia in autunno, dopo prontissima – va riconosciuto – reazione dello stesso Domenichelli agli infortuni di Schlegel e Van Pottelberghe uno dopo l’altro, lo slovacco dal pedigree di tutto rispetto all’inizio pareva il ritratto della goffaggine, tanto che con Gianinazzi in panchina ha giocato poco per non dire nulla, dando semmai l’impressione di essere un pesce fuor d’acqua. Invece, da quando è arrivato Krupp non solo Huska è stato messo in condizione di strappare a Schlegel i galloni da titolare, ma nella sfida dei playout col passare dei minuti si è mostrato sempre più sicuro, sereno, decisivo. Altro che brocco.
Questo, però, ormai fa parte del passato, e adesso che il Lugano si sta tuffando nel nuovo con Janick Steinmann in plancia comandi, la società ha il dovere di affidargli carta bianca per la ricostruzione. Arrivato da Rapperswil nemmeno un mese fa, il trentottenne ex attaccante che chiuse la carriera da giocatore proprio alla Resega, nel canton San Gallo aveva subito dimostrato di saperci fare anche in qualità di direttore sportivo, e nonostante un budget di medio livello per il nostro campionato era subito riuscito a ottenere risultati impensabili fino soltanto a una decina di anni fa. Se oggi il Lugano ha deciso di puntare su di lui confidando nelle sue capacità, lo dovrà mettere nelle condizioni ideali per poter operare. Un direttore sportivo – lo dice la parola – è il responsabile della parte sportiva di un club, e di conseguenza sarà chiamato a pagare per gli eventuali danni, mentre invece nella migliore delle ipotesi, cioè nel caso in cui arrivassero i successi, la gente dirà che ha fatto quello che era stato pagato per fare, mentre giocatori e allenatore brinderanno ai loro meriti. Ê soprattutto per questo che nessuno, ma proprio nessuno, dovrà provare a influenzarne le scelte: se la faccia ce la deve mettere lui, dev’essere lui a decidere, nessun altro.
Una cosa, intanto, è sicura: il buon Steinmann ha dato l’impressione di essere persona risoluta, quando – pochi minuti dopo la sconfitta in gara 2 nel Giura –, senza chiedere il permesso di nessuno si è presentato davanti ai giornalisti impedendo loro di avvicinare i giocatori, i quali andavano lasciati tranquilli in un momento tanto delicato. Una mossa che non ha mancato di sollevare critiche, ma che gli ha immediatamente permesso di dimostrare a tutti di che pasta è fatto. Se Steinmann saprà mantenere anche in futuro questa indipendenza, il Lugano non potrà che guadagnarne, perché mai come in questo momento alla Cornèr Arena c’è bisogno di una persona che abbia il polso fermo e che sappia portare nuovi impulsi. Il primo di questi impulsi, evidentemente, è il nome del regista del Lugano che verrà: che si tratti davvero di Thomas Mitell – l’ex tecnico del Färjestad accostato ai bianconeri dal Blick un paio di settimane fa – oppure no, l’importante è che sia qualcuno di nuovo, quindi che arrivi da fuori, e che non soltanto sia caldeggiato ma che venga scelto dal nuovo general manager. E l’augurio è che al nuovo ‘diesse’ piacciano le sfide complicate, rischiose e da un certo punto di vista persino ingrate, specie in una realtà mediaticamente logorante come la nostra.