A Bellinzona non c'è alcuna voglia di arrendersi, e si guarda al futuro con fiducia. ‘Abbiamo già compiuto un mezzo miracolo, vedremo di farne un altro”
In uno sport di sacrificio come l’hockey, se c’è un gruppo che può rappresentarne bene lo spirito è senz’altro quello dei Bellinzona Snakes, un drappello di giocatori poco più che ragazzini armati di grande determinazione che ogni giorno va in pista per sfidare sé stesso, ancor prima degli avversari. Avversari che, tra l’altro, oltre ad avere generalmente parecchi anni in più, in un mese guadagnano più o meno gli stessi soldi che i Serpenti della Turrita riescono a racimolare in un’intera stagione. Dando un’occhiata alla classifica di Swiss League dopo le 45 partite della stagione regolare, balzano subito all’occhio le sole 7 vittorie conquistate dai ragazzi di Pini e Scandella, ma a Bellinzona i numeri che destano preoccupazione sono ben altri, ovvero le cifre di una contabilità che è fonte di preoccupazione, per una squadra che – ben lo si capisce dalle premesse – ogni giorno è costretta a battersi un po’ su tutti i fronti, ma non per questo vuol saperne di smettere. «Non ci nascondiamo, a livello finanziario è un continuo lottare per restare a galla – spiega Nicola Pini, colui che forse più di ogni altro è l’anima di questi Snakes –. Tuttavia, vogliamo che la nostra avventura possa continuare e faremo di tutto per riuscirci. Quest’anno abbiamo fatto un mezzo miracolo, e probabilmente riusciremo a compierne un altro l’anno prossimo (sorride, ndr)».
Da quando, l’anno scorso, è venuto meno il contributo finanziario di Ambrì e Langnau potete contare soltanto sulla forza delle vostre gambe, ma l’impressione è che la strada sia sempre in salita.
Infatti lo è. Anche perché in questi anni il contesto è cambiato pure dal punto di vista sportivo – spiega Pini –. Infatti, da quando le società di National League hanno scelto di incrementare il numero di stranieri per aumentare lo spettacolo, anche gli elementi svizzeri di buon livello giocano meno. Nel senso che le situazioni di powerplay, gli overtime o più in generale i momenti in cui la loro squadra è sotto pressione, loro li debbono seguire dalla panchina.
Un bel problema per i giovani.
Ma non mi riferisco soltanto a loro. Penso a gente di ventotto o trent’anni, che a poco a poco finisce col dover fare un passo indietro, scegliendo alla fine la strada della Swiss League per beneficiare di maggior responsabilità. E dove vanno questi giocatori quando arrivano in B? Ovviamente nelle quattro o cinque squadre che hanno i soldi e possono permettersi di pagare uno stipendio di centomila franchi a un giocatore svizzero, ma che al tempo stesso sono attrattive grazie al fatto che sbandierano, chi più chi meno, l’ambizione di salire in A a corto-medio termine. Naturalmente tutto questo è più che legittimo, ci mancherebbe, ogni società ha la propria filosofia. Io dico soltanto che queste sono le conseguenze delle scelte fatte dai club di National League. E il risultato è logico: il livello in B sta aumentando, drasticamente anche.
Ciò che, naturalmente, complica ancor di più le cose a un progetto come il vostro.
Dico una cifra, per capirci: in stagione abbiamo schierato un totale di trentatré giocatori, e ventiquattro di loro hanno un’età compresa tra i diciotto e i ventuno anni, mentre altri quattro sono degli U23. È questo il nostro unico scopo: far sì che questi giovani, tra cui ci sono diciassette ticinesi, possano allenarsi lavorando nel modo più serio possibile per affacciarsi al mondo dei professionisti. E non è uno scherzo: tra il campionato degli U20 Elit e la B forse sul piano del ritmo non ci sarà tutta questa differenza, ma sul piano dell’impegno fisico e dell’esperienza il livello da superare non è uno, ma sono cinque. Infatti, i ragazzi ambiziosi che sognano di vestire la maglia della Nazionale Under 20 ai Mondiali di categoria sanno che per poterci provare debbono giocare perlomeno in Swiss League, sennò se lo scordano. Non sarà una regola scritta, ma di fatto è così.
Al di là dei Mondiali giovanili, per tutti questi giovani il sogno vero è quello di riuscire a staccare un contratto da professionista, per vivere di hockey insomma.
È la nostra missione, infatti: siamo al servizio di questi ragazzi, siamo il loro trampolino di lancio, e se pensiamo a come ha lavorato questo gruppo durante la stagione, possiamo dire di essere molto, ma molto contenti. Agli Snakes, la vera forza è che tutti hanno lo stesso obiettivo: vogliono diventare dei professionisti, e a loro poco importa se riusciranno a farlo in National League oppure in una delle squadre di vertice in Swiss League.
Proprio come è successo a Benjamin Bonvin o Marco Cavalleri, che hanno firmato entrambi un contratto di due anni con l’Olten, oppure a un Davide Fadani che passerà al Kloten.
Ed è un gran bel traguardo. Nel caso specifico, pensando a Bonvin, l’Olten lo voleva a tutti i costi e noi l’abbiamo lasciato partire il prima possibile: lui ne era entusiasta perché ha coronato il suo sogno, e ora potrà giocare in una squadra ambiziosa dove avrà già un bello stipendio.
Certo che, però, nonostante la resilienza e la forza del gruppo, non dev’essere evidente continuare a dare il meglio di sé metabolizzando una sconfitta dopo l’altra senza dubitare.
Certo, è vero, però soltanto raramente ci siamo lasciati andare. E se delle quarantacinque partite giocate ne abbiamo vinte sette, venticinque di quei trentotto confronti persi li abbiamo conclusi con il portiere richiamato in panchina: in altre parole, la differenza è stata di uno o al massimo due gol di scarto. Poi ci sono anche state sei o sette partite che abbiamo completamente ‘toppato’, ma i risultati della stragrande maggioranza delle altre riflettono la bontà delle prestazioni messe in pista, ricordiamolo, da una squadra di ragazzi in un campionato di professionisti.
Tra l’altro, i ‘nuovi’ Snakes hanno totalizzato soli tre punti in meno rispetto alla stagione precedente, nonostante nel frattempo siano venute a mancare la qualità di un super talento come Jiri Felcman, arrivato da Langnau, oppure di un Valentin Hofer posteggiato a Bellinzona dall’Ambrì e che adesso è titolare inamovibile a Rapperswil. Certo che, però, ora che se n’è andato Bonvin, perderete il vostro giocatore di maggior talento offensivo.
Ma la nostra forza è lo spirito di gruppo, e non è un semplice slogan. È quello il valore fondante di uno sport come l’hockey, almeno per come lo concepisco io. L’ho detto anche ai ragazzi nel mese di gennaio, quando Bonvin se n’è andato, che la responsabilità che aveva lui adesso potrà essere presa da qualche altro ragazzo. E io non ho dubbi che ci sarà il prossimo Benjamin Bonvin sul ghiaccio del Centro Sportivo, il prossimo agosto.