Hockey

Jean-Jacques Aeschlimann a ruota libera: parla di farm team, trasferimenti, Hcl, Hcap, Nazionale e del figlio Marc.

(Pablo Gianinazzi)
19 febbraio 2015
|

Quattordici stagioni da giocatore del Lugano, 7 in qualità di dirigente ad Ambrì. Ora da 2 anni è tornato nella società bianconera, dove fa il direttore amministrativo. Jean-Jacques Aeschlimann è uno dei personaggi che hanno fatto la storia moderna dell’hockey ticinese. Pure pilastro della Nazionale e grande rigorista, quando lui era ancora in attività di veri farm team praticamente non ne esistevano.

Cosa pensa dunque l’ex numero 19 della nuova regola introdotta settimana scorsa che permette ai club della massima serie di portare una squadra in Lega nazionale B? «Nella lega cadetta c’è un problema da risolvere, attualmente è quasi una farsa con solamente 9 squadre. È giusto trovare delle soluzioni. A mio avviso è una buona cosa, anche perchè questo sistema non esclude le altre squadre di prima lega indipendenti. Esse hanno sempre ancora la chance di salire sportivamente in LNB». E chi lo sa, magari in futuro anche il Ticino avrà una compagine che farà da anticamera a Lugano e Ambrì. «Non so dire quanto sia realistica la cosa. È un progetto ambizioso, mantenere una squadra in LNB costa parecchio, molto più di quanto si creda. Certo, dal lato sportivo rappresenta un buon scalino per i giovani, ma appunto, i costi sono alti e non sarà evidente creare qualcosa».

Un’altra novità sono i trasferimenti ridotti. Un giocatore non potrà vestire più di due maglie a stagione. «È sicuramente giustissimo porre un freno alle licenze A. Ne va della credibilità. Bisognava reagire. Ciò aiuta a migliorare l’immagine dei club e di tutto il movimento. Ed è meglio pure per gli sponsor e i tifosi». Tifosi che a Lugano stanno rispondendo molto bene. «Il nostro campionato è partito con obiettivi chiari e si lavora di conseguenza. I fans hanno capito, le vendite delle tessere sono aumentate. Dal mio punto di vista fila tutto liscio in questo senso ed è di buon auspicio per il futuro. Ora si tratta di continuare così e raccogliere i frutti».

Qualche chilometro più a nord, la situazione di classifica è meno agevole. «Ho visto solo una volta l’Ambrì dal vivo, domenica scorsa a Davos. Durante i derby a causa del lavoro non posso praticamente mai vedere e seguire le partite. È quindi difficile per il sottoscritto giudicare i leventinesi. Indubbiamente sarà importante evitare la finale dei playout contro il Rapperswil. I sangallesi si sono rinforzati e stanno preparando ormai da mesi questo appuntamento, sono uno scoglio insidioso».

Nel passato di “JJ” c’è ovviamente anche il “suo” Bienne, dove è nato e cresciuto. «In generale i seeländer stanno lavorando ottimamente. Dispongono di una struttura societaria organizzata e vedendo come si muovono sul mercato si capisce che, dopo essersi stabiliti in Lega nazionale A, vogliono salire di uno scalino e puntano a essere competitivi nella nuova pista. Io l’ho vista dal fuori, non ci sono ancora entrato, sembra un vero gioiello».

La famiglia Aeschlimann ha lo sport nel sangue. Nonno Georges era un ciclista, specialista di montagna e gregario di lusso di Ferdy Kübler e Hugo Koblet. Papà Georges giocava nel Bienne, i fratelli Joêl e Frank hanno pure militato in Lega nazionale. Ora a continuare la tradizione c’è il figlio, attualmente in forza al Davos dove si divide tra la prima squadra e gli juniori elite. «Marc segue un programma di 3 anni. Quest’anno erano previste una decina di partite in LNA. Ne ha già disputate di più e ultimamente sta giocando con regolarità. È nato nel 1995, sono pochissimi i giocatori schierati con regolarità a questa età nel massimo campionato, specialmente nel ruolo di centro. L’eccezione è Jason Fuchs, il quale approfitta della particolare situazione creatasi in Leventina. Sono dunque contento di come sta andando la sua avventura. Sta a lui mostrare di meritarsi un posto. I giovani devono lavorare ancora più dei vecchi per raggiungere questo obiettivo».

Marc assomiglia nello stile al papà. «Così dicono gli osservatori. Io ho avuto tante fasi, tappe e metamorfosi nella mia vita da hockeista. All’inizio collezionavo tanti punti, ma non sapevo cosa fosse la fase difensiva. È quindi difficile dire quale atleta in attività si avvicini di più a me. Forse, guardando esclusivamente il mio pezzo finale di carriera, direi Morris Trachsler, il centro degli ZSC. Un ruolo di centro difensivo al servizio della squadra, lo fa egregiamente con lo Zurigo e con la Nazionale».

A proposito di quest’ultima, le convocazioni “per tutti” di Glen Hanlon fanno molto discutere. «Non è una vera e propria scelta del coach. Lui sottostà alle società, le quali non sono sempre disposte a liberare i pezzi di un certo calibro per evitare di dare loro troppo lavoro. In definitiva Hanlon non ha scelta e deve forzatamente ampliare il raggio di convocazioni. A me personalmente non piace questo sistema».

“JJ”con il suo ruolo attuale è maggiormente distaccato dall’aspetto  prettamente sportivo. «Non lo nego, l’hockey giocato e l’ambiente dello spogliatoio mi mancano. Cerco di colmare questo vuoto allenandomi con il Pregassona in terza lega. Quando sei stato un giocatore, lo sei per sempre. Direttore sportivo? Dopo Ambrì avevo delle possibilita in questa direzione, ma quando è arrivata la chiamata del Lugano, la squadra del mio cuore,  non c’erano più dubbi su cosa fare. È un’opportunità magnifica per lavorare in un ruolo manageriale presso una società importante. Mi trovo bene e, almeno spero, ciò è reciproco. Ma non sono stupido, nello sport tutto evolve in fretta e questo lo so benissimo». Come dargli torto? Effettivamente il futuro non lo si può mai prevedere con certezza. L'unica certezza è che l' hockey senza "JJ"  rispettivamente "JJ" senza l'hockey è difficilmente immaginabile. Anzi, impossibile.