laR+ Il libro

Il grande romanzo di Rombo di tuono

Nel recente volume di Paolo Piras, la vita, la personalità e le imprese di Gigi Riva, scomparso a inizio 2024 e fra i più grandi della propria epoca

In sintesi:
  • Il poeta Gianni Montieri recensisce per noi il libro di Paolo Piras dedicato alla vita di Gigi Riva, attaccante lombardo trapiantato a Cagliari che fu uno dei migliori interpreti del ruolo fra gli anni Sessanta e Settanta
  • Al di là delle indubbie doti tecniche e atletiche, il nativo di Laveno-Mombello era ammirato – e sempre sarà ricordato – per la sua rettitudine morale, per le scelte coraggiose e per la schiettezza che ne facevano un autentico ‘hombre vertical’
13 dicembre 2024
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Arrivano due foto e poi un video. Vedo un sacco di persone, e una lunga linea ideale di bandiere e sciarpe del Cagliari; e prima ancora di capire, di controllare il mittente di quel Whatsapp mi commuovo. Sento due lacrime scendermi sul viso e sento arrivare un pensiero laterale, quel pensiero mi porta a mio padre.

Il 22 gennaio del 2024 muore Gigi Riva e che lo si sia visto giocare oppure no, chi in misura maggiore, chi in misura minore, ci commuoviamo. Quelle fotografie e quel video arrivano da Cagliari, dai funerali di Riva. Due miei amici, uno da Roma e uno da Torino (ma sardo d’origine) sono partiti e hanno deciso di andarci. Per ammirazione, ma anche per un’idea di famiglia, per mantenere una promessa. Nel messaggio che accompagna le foto c’è scritto: I figli di Riva ricevono le condoglianze ma dicono che vorrebbero essere loro a farle a tutta questa gente.

Una cosa da salvare

Mi commuovo anche ora, a distanza di quasi un anno. Ed ecco che mi spiego il pensiero laterale su mio padre. Ricordo che diceva spesso di ammirare Riva, per il gioco certo, e poi perché una volta arrivato a Cagliari si era fatto popolo e terra, si era fatto mare, si era fatto sardo ed era rimasto, non era andato in nessuna altra squadra più forte, ha sempre detto di no. Mio padre ha sempre amato la gente che sa rimanere. Gigi Riva è una cosa da salvare, lo è sempre stato, ed è una cosa che resta. Gli si vuole bene all’indietro, gliene vogliamo in bianco e nero, noi che non lo abbiamo visto giocare, ma che ne abbiamo capito l’importanza, il rigore, lo abbiamo sentito parlare nelle interviste, con il tono sempre misurato, tono che non arretrava mai.

Ci sono persone che non hanno bisogno di urlare per farsi ascoltare, Gigi Riva è tra queste, lo è ancora. Un Gigi Riva, c’è solo un Gigi Riva e poi un lungo applauso, questo è l’audio di quel video. Quando parlava di Riva, mio padre si illuminava e si intristiva sempre un po’. Mi raccontava l’emozione degli Europei del 1968 e dei Mondiali del 1970, questi ultimi conditi dalla delusione della sconfitta (seppur prevedibile) contro il Brasile. E mi confessava la sua gioia nascosta per quello scudetto del Cagliari, lui lo aveva sempre pensato come uno scudetto del Sud, un’impresa considerata impossibile che traghettava la squadra sarda nel regno del possibile. Ragionava e diceva, succederà anche al Napoli. Aveva ragione.

Senza quell’infortunio...

Al fondo di quella giornata ho girato quel video a Bruno, uno dei miei più cari amici, nato a Nuoro e tifoso del Cagliari. Gli dico che mi sono commosso, mi ha risposto qualcosa come: se non ci si commuove per Gigi Riva ci resta molto poco. Anche lui, come mio padre, aveva ragione. Senza gli infortuni sarebbe stato più forte di Pelé, di Cruijff, diceva papà. Sul serio? rispondevo, abbastanza incredulo. Sul serio, ribadiva. Non mi ha mai convinto del tutto, ma ho sempre capito il suo punto di vista, e comunque la cosa certa è che Gigi Riva è stato un fuoriclasse, in campo e fuori. Un uomo indimenticabile. L’uomo delle rovesciate, del sinistro fulminante, della coordinazione perfetta. Rombo di tuono. L’uomo che si è fatto uno dell’isola, l’uomo che si è fatto isola.

«Il primo passo è il più intimo e profondo: è fatto di nuove radici. Quale sarà stata la prima? Sarà stata la Sardegna di Fuori o la Sardegna di Dentro a fare breccia, a farsi strada nella gabbia d’ossa di quel ragazzo ombroso e triste dagli occhi stretti?». A raccontare Gigi Riva ci pensa Paolo Piras, giornalista, eccellente scrittore di sport, con ‘Vertical. Il romanzo di Gigi Riva’, edito da 66thand2nd. Il titolo e il sottotitolo contengono due grandi verità, forse addirittura tre. La prima, Vertical, che viene da Hombre Vertical, definizione perfetta trovata per lui dall’immenso Gianni Mura. Del resto, per Riva si sprecavano i migliori. Rombo di tuono è, per esempio, di Gianni Brera. La seconda, questo libro è in fondo un romanzo, perché quella vita è stata un romanzo. La terza, più nascosta, ci suggerisce – e immaginiamo che Piras possa trovarsi d’accordo – che Gigi Riva è stato ed è un personaggio letterario, se non fosse esistito, un grande scrittore avrebbe potuto inventarselo, anzi avrebbe dovuto.

Ammirato da Pasolini

Lo sapeva bene, per esempio, Giovanni Arpino, che di Riva ha scritto e, in caso di necessità, se lo sarebbe inventato. Piras compie un lungo viaggio, nelle sue pagine c’è tutto Riva, dall’infanzia alla fine. C’è la povertà, il dolore, la rassegnazione, le lotte, l’orgoglio, la durezza, la dolcezza, la forza, il rigore morale, la serenità, la gloria, l’orgoglio, il sorriso, la schiena dritta, giorno per giorno, dal primo giorno a per sempre. «Il suo stato di idolo popolare affascina un intellettuale fuori schema come Pier Paolo Pasolini, che ama il calcio e lo sente non solo come spettacolo, ma come lingua viva, come sistema di segni codificabili (e cita Barthes), con una sua capacità di essere elegante o efficace, prosaico o poetico». Ci riporta indietro Piras, agli oratori, alle mancanze. Laggiù, in Lombardia, dove Riva calciava i primi diagonali. E poi la vita di rincorsa, come una salita, senza cedere mai niente, guadagnandosi ogni cosa, ogni centimetro in campo e fuori. Piras lo sa che il racconto di Riva è un racconto fatto di molte parole tramandate che sono molte più delle immagini e allora quelle parole le usa e le stende in queste pagine, le rielabora con parole sue. Perché Gigi Riva è la storia del calcio, la storia della Sardegna, ed è anche una leggenda. Leggiamo cose piccole, intime e familiari e leggiamo il resoconto di partite e gol straordinari. Riva, l’uomo dei 35 gol in nazionale in sole 42 partite. Pensa, senza l’infortunio terribile, con una carriera più lunga cosa avrebbe fatto. Pensa, suggerisce Piras e nel farlo pare parlare con mio padre.

Forte, rasoterra e in diagonale

Perché l’altra cosa che fa Piras è parlare con i morti, con chi ha conosciuto Riva e ci ha giocato, con chi ci ha solo conversato, con chi lo ha visto giocare. Con chi come, lui vivo, Roberto Boninsegna c’era quelle due volte, quella della partita del secolo e quella che avrebbe potuto prenderne il posto poche ore dopo. Paolo Piras non numera i capitoli e allora noi immaginiamo Riva correre tra le pagine, senza avere bisogno di fermarsi, senza che nessuno lo fermi, lo rallenti. Tre parti: Luigi, Riva e Gigi Riva, tre pezzi di libro, solo questo. Riva, con Piras, parte palla al piede e arriva fino ai sedici metri di tutte le aree di rigore del mondo e calcia forte, rasoterra, in diagonale e segna per sempre, anche nel tempo a venire.

Laveno-Mombello dove si nasce. Legnano e Cagliari dove si gioca. Cagliari dove si vive, si ama, si crescono i figli e si muore. Ciao Juve, non vengo, ciao Inter, non vengo, ciao Milan, non vengo. «Adesso che il campo è chiuso, che gli spalti sono vuoti, ecco il fiume nero tornare su, forzare i blocchi, sfondare le dighe, con tutta la forza e la pressione di una corrente repressa di dolore incancellabile. Riva esce dal tappeto verde, esce dal piccolo spazio di mondo dove poteva ancora restare al riparo dal caos […]». Scrivere un libro su Gigi Riva è difficile, hanno scritto in tanti, e molti ancora scriveranno, anche noi, oggi, a nostro modo, ne stiamo scrivendo. Paolo Piras questo lo sa e allora mette insieme due cose: la poesia e il rigore, che poi – se guardiamo bene – sono due caratteristiche di Riva. Così questa biografia, questo romanzo, quest’avventura regge e si legge d’un fiato dall’inizio alla fine. Una vicenda di ombre, mancanze, gioie e deserti. Un deserto affettivo che viene dall’infanzia, dall’adolescenza e un deserto sul campo da calcio, fatto di voragini che si aprivano intorno a Riva, quando i difensori invece che provare a fermarlo, pareva si spostassero, sottraendosi così all’umiliazione. Le esultanze di Riva dopo un gol fanno venire tanta nostalgia, sono così esatte, tanto semplici. Esultanze che dicono: ‘In fondo, ho solo segnato. In fondo è quello che so fare’. Vertical è un bellissimo libro di sport, fossi ancora in tempo, fosse ancora vivo, lo regalerei a mio padre.