Calcio

‘Alla fine, a decidere è una persona’

Per Massimo Busacca, il Var è uno strumento utile, ‘ma dietro al monitor c’è sempre un uomo, con la sua capacità di lettura’

10 novembre 2018
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Quello che inizialmente era un esperimento salutato con un pizzico di scetticismo, benché se ne fosse intuita subito l’importanza, si è rivelato un’operazione di grande successo. Che il calcio non ha cambiato, bensì “ripulito”. «È l’arbitro che gestisce la partita – puntualizza Massimo Busacca, direttore della divisione arbitri della Fifa –, che sa come si deve comportare, che sa trovare una soluzione e sa come uscire da determinate situazioni scomode. A mio giudizio l’uomo, l’essere umano, deve rimanere al centro della questione. Le mie perplessità iniziali circa l’utilizzo del Var erano legate proprio a queste mie considerazioni di ordine... umano: quali cambiamenti porterà la tecnologia? Vedremo arbitri robot? Sarà una macchina a prendere le decisioni? Poi, però, alla luce dei risultati, delle difficoltà che oggi si hanno nello scovare un fuorigioco di pochi centimetri, a capire se un giocatore cade dentro o fuori area, se ha segnato o meno con una mano, l’unica soluzione è la tecnologia, perché l’uomo non può vedere tutto. Scandali che sono avvenuti in passato, di cui ancora oggi parlano tutti, non sono più ammissibili. Se si ragiona così, ci si convince che il Var può davvero essere utile. Purché il fattore umano resti al centro. È l’uomo che sa interpretare e ‘leggere’ la partita. La macchina non è in grado di capire la dinamica delle azioni, la gravità di un contatto. Tanto è vero che per visionare certi episodi servono più inquadrature, più prospettive, da più telecamere. Davanti alla macchina, quindi, c’è sempre un uomo con la sua capacità di lettura e interpretazione delle situazioni. Non è la tecnologia a decidere. È l’uomo a valutare quello che è accaduto. Il Var è uno strumento che serve per valutare, per dare all’arbitro la possibilità di vedere una seconda volta quello che ha visto in campo. Il Var non è lì per decidere. L’ultima parola spetta all’arbitro.

Ecco perché la sua figura continua a essere centrale.
Dalla mia esperienza in campo come arbitro, ma anche come dirigente, dico che se non puoi contare su un grande arbitro in campo e su un grande Var, anch’egli un direttore di gara di primo livello, ti chiedi quanto la tecnologia possa essere d’aiuto. Ne consegue che si deve continuare a lavorare su sviluppo e istruzione, investendo nella formazione degli arbitri molto più di quanto si investa nella tecnologia. Per capirci: se ho 1’000, investo 800 sullo sviluppo e solo 200 sulla tecnologia. La proporzione deve continuare a essere questa. È fondamentale ricordare che investire unicamente sulla tecnologia non risolve tutti i problemi.

Se lo strumento viene utilizzato bene, è di grande aiuto, perché cancella sviste ed errori grossolani in grado di cambiare un risultato, o di eliminare una squadra da un torneo.
Al Mondiale di Russia è emerso che senza il Var l’arbitro avrebbe il 95 per cento di decisioni giuste prese, mentre con l’ausilio delle tecnologia la percentuale è salita al 99 per cento. Un piccolo margine c’è ancora, e continuerà a esserci, per le difficoltà legate all’interpretazione di certe situazioni. L’abilità di un arbitro sta nel lasciare finire l’azione, per poi andare a verificare. Direttore di gara e assistente hanno modificato il loro modo di operare in campo. E qui torniamo alla loro abilità, e all’esperienza. Ci sono arbitri che hanno agito in un certo modo per anni, e oggi, da apprendisti quali sono, si chiede loro di avere già grande esperienza. È difficile trovarne, di apprendisti così, in ogni ambito professionale. Il calcio, però, non ti permette di non essere subito qualificato. Se in Russia avessimo avuto problemi e avessimo cercato di giustificarli parlando di apprendistato, nessuno lo avrebbe capito, perché l’aspettativa relativa alla direzione arbitrale è molto alta, in una competizione così importante.

Una bella sfida, per la Fifa.
Capita di discutere di situazioni di gioco non chiare verificatesi in Russia, alcune delle quali continuano a esserlo ancora oggi. Se però non ci fosse stato il Var, avremmo ancora il medesimo problema delle situazioni irrisolte, ma non avremmo risolto i casi che invece la tecnologia ha chiarito. Alla fine abbiamo avuto una ventina di situazioni chiarite, più o meno una ogni tre partite del Mondiale. È un risultato importantissimo. Senza il Var saremmo andati incontro a gravi errori che avrebbero eliminato delle squadre dal torneo. Il 95 per cento di decisioni giuste prese è sì un dato soddisfacente, ma si tende a dimenticare il peso specifico del 4 per cento supplementare dovuto al Var. Un peso enorme perché riguarda decisioni che cambiano il risultato. È una percentuale pesantissima. La gente guarda a quello, non al 95% di decisioni giuste. La prospettiva è opposta a quella del calciatore. Un attaccante può giocare malissimo tutta la partita, avere il 95 per cento di cose fatte male, poi con un gol la risolve lui e la gente lo porta in trionfo perché ha fatto vincere l’incontro. Per gli arbitri è diverso: il 95 per cento rientra nella normalità delle cose, per un giudice. Da un arbitro di livello ti aspetti che prenda le decisioni giuste, che faccia sempre bene. Non gli è permesso sbagliare. Se sbaglia, e qui torniamo al 4 per cento imputabile al Var, alla fine la gente si ricorda dell’errore che ha fatto perdere o ha eliminato una squadra. Il Var ha eliminato, se usato bene, il grande scandalo che condiziona un incontro, o un torneo.

Il Var, inoltre, ha un effetto deterrente.
In Russia non c’è un cartellino rosso per falli brutali, non c’è un gol realizzato in fuorigioco, la media di cartellini è abbastanza bassa. Tanta roba, come si suol dire. Il Var diventa un mezzo di prevenzione. I calciatori sanno di essere seguiti, il loro comportamento ne viene influenzato. Si guarderanno bene, in futuro, dal simulare o dal commettere irregolarità gravi, perché sanno di essere seguiti da una telecamera. L’arbitro è invitato a ricordarlo, durante le partite.

Tutto sommato sono state contenute anche le temute interruzioni.
Una ventina, in 64 partite. È quanto auspicavamo che succedesse. Ed è merito del lavoro svolto con i direttori di gara a livello di istruzione, in campo, con simulazioni con i giocatori, lavorando su approccio tattico, intelligenza calcistica, corsa, anticipo. È su questi aspetti che ci siamo chinati per lo più, ai Mondiali. Non tanto sul Var. L’abbiamo studiato, allenato, applicato, ma non a scapito della formazione. L’istruzione avrà sempre la nostra priorità.

 

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