Calcio

Orgoglio e cuore granata, le armi in più per tornare grande

Dieci anni fa l'ultima promozione dell'Acb nella massima serie, un'impresa che deve ispirare chi sta cercando di riportare in alto la società bellinzonese

25 maggio 2018
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«20 maggio 2008, una data impossibile da dimenticare». Gli occhi di Manuel Rivera si illuminano, diventano lucidi, il sorriso accennato tradisce il misto di fierezza e nostalgia che gli riempie il cuore di ex capitano. Un condottiero che quel martedì sera di dieci anni fa nella recita d’addio dell’Espenmoos di San Gallo aveva guidato l’Acb alla conquista di quella che rimane l’ultima promozione granata nella massima serie di calcio elvetica. Tre a due in favore della squadra di Vladimir Petkovic tre giorni prima al Comunale, due a zero firmato Francisco Neri e Senad Lulic nell’inferno verde sangallese, diventato paradiso granata.

«È stato il momento più bello della mia carriera e forse anche della mia vita, perché vivendo da sempre nel mondo del calcio, quella promozione e in generale quella stagione sono state l’apice di tutto – prosegue l’ex centrocampista di origine peruviana –. Una cavalcata del genere in Coppa Svizzera e poche settimane dopo una promozione, sono due avvenimenti incredibili, che non saremmo mai riusciti a vivere senza il supporto degli splendidi tifosi granata, della società, della città. Una grande famiglia che con entusiasmo non ci abbandonò mai e ci spinse verso un risultato eccezionale».

L’ex capitano: ‘La forza di quella squadra erano il gruppo e un allenatore che si vedeva che avrebbe fatto molta strada’

Proprio il contraccolpo della sconfitta nell’ultimo atto dell’ex trofeo Sandoz (4-1 al St. Jakob contro i renani) rischiò però di costare caro ai granata... «Nella partita seguente inciampammo a Sciaffusa (2-0), lasciando al Vaduz il primato in classifica, che non perse più. Riuscimmo però a reagire e a difendere il secondo posto dall’attacco del Wil, guadagnandoci il diritto di sfidare il San Gallo in uno spareggio che ci vedeva comunque sfavoriti, contro una società di categoria superiore, di grande tradizione e con un pubblico caldissimo. Ma non ci facemmo intimorire e alla fine conquistammo con ampio merito un’incredibile promozione».

E proprio nel momento di difficoltà, uscì la principale caratteristica di quella squadra... «Eravamo un gruppo spettacolare, di amici ancor prima che compagni di squadra. Il segreto fu far passare il messaggio a chi veniva da fuori che la nostra era una realtà piccola, ma che viveva di calcio. Far capire che dovevano rispettare la società, i tifosi, la città, le infrastrutture. Questo compito spettò ai senatori come me, Pino (Miccolis, ndr), Mangiarratti, Raso. E devo dire che trovammo grande disponibilità da parte di tutti, favorendo così lo spirito di gruppo. Giocatori come Taljevic, Bucchi, Moresi e gli altri vennero subito conquistati dalla realtà Acb e ancora oggi quando li sento o li vedo, ricordiamo con grande piacere e un pizzico di nostalgia quel periodo».

Un gruppo, del quale faceva parte pure il direttore generale Marco Degennaro, che trovò in Vladimir Petkovic la sua guida ideale... «Non è un caso se oggi Petkovic allena la Nazionale. Che potesse fare carriera, era chiaro già ai tempi, aveva tutte le carte in regola: sapeva leggere le partite, trasmetteva tranquillità, gestiva il gruppo con il giusto equilibrio. Lo dimostrano i risultati di allora, ma anche quelli che ha ottenuto in seguito, perché non arrivi a certi livelli per caso. L’Acb è stato un bel trampolino, ma poi lui è stato bravo a proseguire sullo slancio e oggi merita di essere dove sta».

‘A Bellinzona c’è qualcosa di speciale, un entusiasmo che manca al calcio ticinese.
Sarebbe importante centrare la promozione quest’anno’

Nelle parole di Rivera c’è tanta nostalgia per emozioni lontane, per Bellinzona ma in generale per il Ticino... «Effettivamente un entusiasmo e numeri del genere non si sono più visti alle nostre latitudini e questo nonostante un Lugano tornato nella massima serie e capace di raggiungere a sua volta la finale di Coppa Svizzera (due anni fa erano comunque stati oltre 7’000 i sostenitori bianconeri a raggiungere il Letzigrund per assistere all’ultimo atto perso con lo Zurigo, contro i circa 10’000 della “valanga rosa” presente nel 2008 al St. Jakob, ndr). Bisogna però dire che la nostra fu una stagione davvero eccezionale e soprattutto che i tempi sono cambiati. Oggi per pensare di avvicinarsi a numeri simili, ci vorrebbe un Ticino davvero unito a livello calcistico, ma come dimostra qualche timido tentativo non andato a buon fine, è una strada non ancora percorribile. E forse non lo sarà mai». Che ognuno guardi per sé quindi e per i colori granata significa inseguire una promozione in Promotion League non certo pesante come quella del 2008, ma comunque significativa, in quanto rappresenterebbe un ulteriore passo avanti nel processo di rinascita dopo il fallimento del 2013 (della Sa che gestiva la prima squadra, non dell’Associazione)... «Sarebbe importantissima per il club, ma anche per il calcio ticinese, a cui manca una piazza come Bellinzona. Qui c’è qualcosa di speciale, perché in una categoria poco attrattiva come la Prima Lega, al Comunale di media ci sono 1’000 spettatori, una cifra alla quale almeno tre club di Challenge League (tra cui il Chiasso) non arrivano. Quest’anno non mi sono perso una partita e mi auguro che sia la volta buona, perché salendo di categoria anche l’entusiasmo si riaccenderebbe ulteriormente. E il potenziale, considerando anche le difficoltà del Locarno, è altissimo».

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