Con presidente e allenatore del Riva stiliamo un bilancio della sfortunata stagione appena conclusa, segnata da molti infortuni e varie incomprensioni
Il Riva Basket ha chiuso la stagione 2024/25 con l’ultima trasferta a Pully in condizioni a dir poco precarie, viste le assenze per infortuni e altro, fattori che hanno caratterizzato l’intera stagione. Ed è chiaro, senza per questo voler nascondere le varie problematiche, che con un contingente di giovani e molto giovani – e con due sole professioniste – di livello nemmeno paragonabile a quelle della passata stagione, ogni piccolo inciampo sarebbe stato un problema.
Una stagione iniziata con Chiara Mariani in qualità di coach: un’allenatrice capace, competente e di lungo corso in vari campionati della vicina Penisola, sia maschili che femminili, che si è trovata in un contesto dove le lacune tecniche e le differenze con il basket italiano erano evidenti. Se poi non si trova subito il feeling, e so per esperienza come nel mondo del basket femminile, più che in quello maschile, basta poco per rompere certi equilibri che fatalmente sfociano in incomprensioni e atteggiamenti che non favoriscono la squadra.
Se poi ci mettiamo tutte le sconfitte, alcune anche di un niente, era chiaro che l’ambiente ne risentisse oltre misura. Così si è arrivati alla separazione, quasi insieme al cambio della lunga straniera Tina Stephens, pivot anomalo più preoccupata per le ciglia finte che per i rimbalzi. È arrivato in panchina un ex, Fabio Bassani, capace come pochi di cercare di rimettere in sesto lo spogliatoio, di far ritrovare le giuste motivazioni e di continuare a far crescere le giovani.
Con Bassani facciamo una valutazione del percorso fatto: contento? «Diciamo di sì, non fosse altro per il fatto che siamo riusciti ad arrivare in fondo, pur stremati e con solo sette giocatrici in campo. Un finale dignitoso, giocato con impegno fino all’ultimo secondo e con in campo anche una U16».
Da dove sei partito? «Il clima era piuttosto depresso per cui ho cercato di dare le giuste motivazioni senza attivare inutili processi: è stato chiaro sin da subito che il lavoro era molto perché gli infortuni a ripetizione, anche delle straniere, ci hanno costretto ad allenamenti senza contrasti e di qualità ridotta. Però non posso dire che sia mancato l’impegno. Siamo riusciti a vincere un paio di partite e alcune ci sono sfuggite per poco, anche per inesperienza».
Due straniere – Nelson e Zapata – non sempre performanti... «Avrebbero potuto dare di più, certo, ma sono anche state penalizzate da questi allenamenti monchi, dove la competitività era limitata dalle assenze. Certo, non hanno avuto il potenziale delle due dello scorso anno, una miglior realizzatrice e l’altra miglior rimbalzista del campionato. Ma è un discorso che va messo sul piano del rapporto qualità-prezzo, e allora accettate così. Quasi tutte le avversarie hanno fatto la differenza con le straniere, ma solo per il fatto di averne tre».
E il tuo futuro? «Ho detto al comitato che mi metto a disposizione per fare il direttore tecnico e per occuparmi del settore giovanile, sempre che tutti siano d’accordo, perché allenare in A o anche in B mi prende troppo tempo per la mia attività. Con il Riva però il rapporto è molto positivo, e mi piace lavorare con le giovani».
Con Gaby Califano, presidente, stiliamo una valutazione della stagione: tribolata? «Dire tribolata è un eufemismo: problemi con l’allenatrice, problemi con la straniera, problemi a ripetizioni con malattie e infortuni... Diciamo che è stata una stagione molto complicata, ma nella quale abbiamo anche imparato molte cose che ci saranno utili per il futuro: insomma, tutto quello che non ti uccide ti migliora».
Un rammarico? «Direi non avere avuto la fortuna della scorsa stagione nella scelta delle due americane. Le attuali costavano come quelle dell’anno scorso, ma il loro livello non era certo paragonabile».
Il vostro lavoro societario è sempre stato molto oculato, soprattutto nelle spese fatte secondo le disponibilità: era impossibile avere una terza straniera? «Il nostro budget non ce lo permetteva e quindi abbiamo fatto senza, pagando in termini di successi, perché è ovvio che in Svizzera il numero delle straniere è un fattore importante, visto che le svizzere brave costano più delle straniere stesse, e che le europee costano più delle americane».
Finita una stagione, comincia subito la successiva: come siete messe? «Diciamo che stiamo discutendo con tutte le nostre giocatrici per capire cosa vorranno fare: sappiamo già che un paio abbandoneranno per motivi di studio, e questo è un destino che ci accompagna da sempre, altre non so. Comunque vogliamo essere certe di avere una base completa per poter giocare alla pari con le altre squadre».
Il settore giovanile è una certezza? «Il nostro settore giovanile è una necessità perché rappresenta il serbatoio per il futuro: occorre però trovare giovani motivate e molto amanti del basket, perché devono essere consapevoli che ciò richiede sacrifici. Purtroppo abbiamo constatato che a fare rinunce e sacrifici per il basket non sono molte, pur avendo doti non comuni. Ora abbiamo una U18 che presto farà le Finali svizzere, e quindi guardiamo avanti con fiducia. Ma in ogni caso, in A o in B, noi ci saremo».