Jonathan Martin, nel 2013 presunta vittima di bullismo da parte di compagni di squadra a Miami, dodici anni dopo ha ritrattato le accuse
Il mondo del football è andato in letargo con la sorprendente vittoria di Philadelphia contro Kansas City nel Super Bowl numero 59, in attesa dell’inizio delle leghe primaverili, la Usfl oltre Oceano, la European League of Football in Europa (con al via gli Helvetic Mercenaries). Nella Nfl, general manager e allenatori stanno valutando i roster a disposizione in vista dell’inizio della free agency (12 marzo) e del draft 2025 (24-26 aprile), mentre i giocatori cercano di ristabilire le funzionalità di un corpo martoriato da sei mesi di partite, per poi presentarsi nelle migliori condizioni possibili ai primi mini-camp del mese di maggio. Ma negli Stati Uniti, di football Nfl si continua a parlare e a scrivere. E negli scorsi giorni ha destato parecchio interesse il ritorno sulle prime pagine di uno scandalo vecchio di oltre un decennio. Forse, qualcuno si ricorda di quello che venne denominato “Bullygate”, uno scandalo dal quale ne uscì mutata nelle consuetudini tutta la lega e non soltanto i Miami Dolphins, l’unico team direttamente coinvolto.
Negli ultimi giorni, tutto è tornato a galla a seguito delle dichiarazioni di Jonathan Martin, ex offensive tackle di Miami e grande accusatore in un procedimento che portò alla luce presunti casi di bullismo nella franchigia della Florida (e probabilmente in molte altre). Ebbene, a più di dieci anni di distanza dai fatti, in un’intervista rilasciata all’emittente Espn, Martin ha clamorosamente ritrattato le sue accuse, arrivando ad affermare che “mai nemmeno per un secondo ho creduto di essere vittima di bullismo”.
Detta così, potrebbe sembrare una notizia marginale, tuttavia non lo è. Le accuse pronunciate a suo tempo dal prodotto della Stanford University, al suo secondo anno da professionista, ebbero ripercussioni importanti, sulla cultura della Nfl (positive), ma soprattutto sulla carriera di alcuni giocatori (negative).
Il caso era scoppiato il 28 ottobre 2013, quando Jonathan Martin non si era presentato all’allenamento. Seconda scelta al draft dell’anno precedente, Martin non era sin lì riuscito a mantenere le promesse, con una stagione da rookie per nulla positiva e una prima parte di quella successiva nella quale non aveva mostrato segni di tangibile progresso. Dopo il primo allenamento saltato ne arrivarono altri nei due giorni successivi, poi al quarto giorno Fox Sport uscì con la notizia di un giocatore bullizzato dai compagni di squadra. La reazione dei Dolphins giunse soltanto il 3 novembre, con tre comunicati, l’ultimo dei quali annunciava la sospensione a tempo indeterminato di Richie Incognito, di ruolo guardia offensiva, per “comportamento pregiudizievole per la squadra”.
Cosa era successo? Già nella sua stagione da rookie, Martin era stato sottoposto al trattamento che tutti i giocatori alla prima stagione erano costretti a subire, con piccole angherie, come ad esempio l’obbligo di pagare la cena per i compagni e commenti pesanti nello spogliatoio. Il 27 ottobre, nella mensa del centro di allenamento della squadra, gli uomini di linea avevano invitato Martin a sedersi al loro tavolo, ma quando lui era arrivato, si erano alzati e se ne erano andati. La classica goccia di troppo per un ragazzo che stava soprattutto lottando contro i suoi demoni (negli anni successivi è poi caduto più volte in depressione, malattia dalla quale sembra per altro essere guarito).
Una settimana dopo lo scoppio dello scandalo, la Nfl incaricò Ted Wells, noto penalista, di procedere con un’inchiesta indipendente per accertare la realtà dei fatti. Una notizia che rese ancora più famelici giornali e tivù, assetati di novità su quanto stava succedendo… “Nello spogliatoio, nessun giornalista si interessava più né alla squadra, né al prossimo avversario, ma soltanto a quello che veniva definito come un ambiente tossico e che così, invece, non era”, ha ricordato in questi giorni Nolan Carroll, ex cornerback di Miami.
Il rapporto di Ted Wells, un tomo di 144 pagine, giunse sulla scrivania del commissioner Roger Goodell il 14 febbraio 2014 e accusava Richie Incognito, Mike Pouncey (centro) e John Jerry (tackle) di aver bullizzato Martin, il quale, dopo l’incidente della caffetteria, si era pure rivolto a un ospedale per sottoporsi a una serie di trattamenti mentali. I tre non avrebbero risparmiato i commenti a sfondo sessuale sulla sorella e sulla madre di Martin e lo avrebbero più volte apostrofato con termini razzisti (due dei tre erano per altro afroamericani...). Inoltre, secondo le testimonianze raccolte da Wells, Martin sarebbe stato vittima di bullismo già al liceo, cosa che gli aveva provocato depressione e importanti problemi di autostima. Nel corso della seconda stagione ai Dolphins avrebbe pure cullato l’idea del suicidio.
Adesso, a 11 anni di distanza dal rapporto Wells, Martin ritratta le accuse, a suo dire fomentate dal comportamento di sua madre. “È una storia che ho cercato di risolvere per 10 anni”, ha aggiunto nell’intervista. Purtroppo, la Nfl si era rivelata un mondo troppo grande e spietato per un ragazzo alle prese con più di un fantasma personale. “Non ha sfondato nella Nfl, voleva uscirne e così ha accusato me”, ha reagito Incognito, il quale ha sempre rifiutato interviste sull’argomento e non ha voluto avere nulla a che fare nemmeno con i due docufilm sull’argomento, attualmente in produzione.
Proprio Incognito è stata la vittima principale delle false accuse di Martin. Non che fosse un santo, il suo comportamento dentro e fuori dal campo aveva destato più di una perplessità, tuttavia nel primo anno nel quale Martin aveva vestito la maglia dei Dolphins, Incognito gli aveva fatto da mentore, tant’è che lo considerava un amico e aveva persino pregato Omar Kelly, noto giornalista, di essere indulgente con Martin nel criticare le sue prestazioni in campo. Etichettato come istigatore delle molestie, Incognito fu sospeso per otto partite dalla Nfl, perse tutta la stagione 2014 (e qualcosa come 10 milioni di dollari), prima di provare a resuscitare la carriera con Buffalo dal 2015 al 2018, per poi chiudere la carriera con due stagioni ai Raiders (una a Oakland, l’altra a Las Vegas). Le ultime dichiarazioni di Martin contribuiscono a ripulire l’immagine pubblica di Incognito, ma il danno è stato fatto a suo tempo e tornare indietro è impossibile.