Ciclismo

Ginettaccio, 'quel naso triste come una salita'

Vent'anni fa moriva Gino Bartali, campione di ciclismo e di umanità. Durante la Guerra salvò la vita a 800 ebrei

5 maggio 2020
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Vent’anni fa morì a Firenze Gino “Ginettaccio” Bartali, «quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita, quel naso triste da italiano allegro», come lo descrisse magistralmente Paolo Conte. Di lui si ricordano le vittorie, il trionfo al Tour de France del 1948 (“Tra i francesi che si incazzano”, ricorda sempre Conte) che - ritengono alcuni analisti - salvò l’Italia da una guerra civile che stava per scoppiare sulle scia del secondo conflitto mondiale.

Alla storia è però passato per essere stato proclamato “giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, l'Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, il 23 settembre del 2013. “Per aver rischiato la vita pur di salvare quella di oltre 800 ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale”, ai tempi dell’occupazione tedesca in Italia. 

'Il bene si fa, ma non si dice'

Di quelle azioni, Bartali preferiva non parlare. «Il bene si fa ma non si dice», spiegò infatti al figlio Andrea. Il quale, su impulso anche delle testimonianze di diversi uomini salvati da Bartali che vennero alla luce (Ginettaccio, schivo e burbero, si arrabbiò molto, quando cominciò a circolare la voce delle imprese che non riteneva di divulgare), nel 2012 raccontò quel lato sconosciuto del babbo nel libro "Gino Bartali, mio papà". Cattolico devoto, avverso al fascismo, nel corso dell'occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui primattori sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l'arcivescovo della città cardinale Elia Angelo Dalla Costa. Il quale sfruttò le doti atletiche del toscano per consegnare - anche su due ruote - timbri e documenti con nuove identità nascosti nella canna e sotto il sellino della bicicletta con la quale Gino si allenava, per salvare degli ebrei nascosti da alcuni preti della provincia toscana.

Più volte fermato e interrogato, al figlio Andrea spiegò che quello era il suo modo di combattere la guerra. E lo faceva anche di nascosto dalla moglie, per non metterla in pericolo: «Io salvo le persone, se sono ebree o musulmane o di altre religioni a me non importa niente. A me interessa la vita».
Oltre a fungere da corriere, con il cugino Armandino Sizzi, Bartali nascose nella sua cantina una famiglia di ebrei. Lo ha ricordato al mondo Giorgio Goldenberg, ebreo fiumano. Il quale definì Bartali e Sizzi «due eroi della Resistenza a cui devo la vita».

Furono le tappe dei Tour e dei Giri, le epiche sfide con Coppi, le Milano-Sanremo, a consegnare Gino Bartali alla storia dello sport. Tuttavia, è alla storia del mondo che vent’anni fa la sua morte lo ha consegnato, per aver salvato la vita di oltre 800 ebrei con l'umile perseveranza del campione che è sempre stato.