Ticino7

La vita a manetta di Roberto Rolfo

Sulla moto ci è arrivato in tenera età. Ed è stato amore a prima vista

(Fabien Marcorelles)
1 dicembre 2018
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Sulla moto ci è arrivato in tenera età. Ed è stato amore a prima vista per Roberto Rolfo, (“Roby” per gli amici), che in sella alla due ruote ha macinato, e continua a macinare, parecchi chilometri. Dapprima sulle strade del Motomondiale, nelle classi 250 (poi Moto2) e MotoGp, e successivamente nelle Superbike. Dulcis in fundo – almeno per ora – ha abbracciato una nuova sfida: il Mondiale di Endurance. Le prove di resistenza, dalle 8 Ore alle 24 Ore, sotto l’insegna del team francese Yamaha Ain, dove questa stagione corre in squadra col friborghese Mulhauser e il francese Pilot.

La velocità nel sangue

Figlio di due appassionati della moto – col padre laureatosi campione italiano di velocità nella corsa in salita con una 500 bicilindrica proprio l’anno della sua nascita –, i suoi primi giri in moto li ha fatti all’età di 4 anni, nel cortile di casa. «Oltre al titolo, come premio, mio padre se ne tornò a casa con una moto monomarcia con motore Minarelli», ricorda Rolfo. Ed è con quella che la sua lunga carriera ha avuto inizio. Di asfalto, da allora, ne è passato sotto le sue ruote... Come quello divorato a tutta velocità nella stagione 2003, anno in cui aveva flirtato quasi fino all’ultima curva della stagione col titolo delle 250, poi vinto da Manuel Poggiali. Ma la stagione che ha segnato più di tutte la sua carriera è datata 2001, l’anno della svolta per Rolfo, «la mia prima stagione “seria” nel Motomondiale. Correvamo con una moto privata, ma supportata da una struttura e uno staff che sapevano lavorare davvero molto bene. Eravamo partiti senza pressioni, da perfetti outsider. Tipo ‘se entri nei primi 10 è un ottimo risultato’… E siamo andati ben oltre le aspettative, nostre e di tutti, col 4° posto di scuderia nel Mondiale, con 3 podi all’attivo. Erano qualcosa come 17 anni, o giù di lì, che un team privato non riusciva a piazzarsi nei primi 5. Quell’anno lo ricordo con piacere, soprattutto per il clima che si respirava. L’emozione provata nel 2001 supera di gran lunga quella che ho provato gli anni seguenti, con moto ufficiali, più paganti per risultati, ma meno entusiasmanti per quella sorta di magia che si portano appresso tutti i debutti». Già, i risultati… Quelli che nel Motomondiale gli hanno regalato 4 vittorie. «Gli anni migliori sono stati quelli tra il 2001 e il 2005. A lanciarmi definitivamente è stato il podio in Australia: quel 3° posto mi ha permesso di procurami un sellino ufficiale per la stagione successiva, con cui, nel 2003, ho appunto chiuso il Mondiale al 2° posto».

Venti le volte in cui è salito sul podio nel Motomondiale, 4 sul gradino più alto. «Il successo più bello è stato il primo, al Sachsenring, nella stagione 2003. Circuito asciutto; per tutta la gara avevo battagliato con De Puniet e Nieto. L’ho spuntata di forza, tenendo loro testa con una moto tecnicamente inferiore alle due Aprilia: solo all’ultima curva ho trovato l’accelerazione che mi ha permesso di lasciarmeli definitivamente alle spalle».

Un nuovo inizio

L’addio al Motomondiale Roby l’ha dato nel 2012, stagione iniziata in Moto2 e terminata nella MotoGp. «Più che l’ambiente, del Motomondiale mi manca la possibilità di competere in gare in cui sento di poter ancora fare buoni risultati. Fino a 40 anni a mio modo di vedere la moto è accessibile a tutti. Per arrivarci me ne mancano ancora due, quindi… I giovani appena affacciatisi alla ribalta del Motomondiale pure nella MotoGp dimostrano altrettanto temperamento dei più esperti, e riescono a mettere in difficoltà i più titolati, ma mi sentirei pronto a raccogliere un’altra sfida. Più che l’ambiente in sé, mi manca la possibilità di dire la mia in pista. Ma non tornerei nel giro per vestire i panni di un team manager o di un direttore sportivo: la moto mi piace guidarla: guardare gli altri correre non fa per me».

Cosa avrebbe fatto Roby Rolfo se non fosse diventato un pilota? «La moto è stata la mia fedele compagna fin dall’infanzia. Non mi sarei visto in tanti altri panni se non in quelli di un pilota. Forse… avrei fatto qualcosa di manuale. Quando vado a trovare i miei genitori a Torino, mi piace lavorare nella natura, fare giardinaggio. Ecco, forse avrei fatto qualcosa in quel campo». E il futuro? «Finché avrò una possibilità, correrò. In parallelo cerco di portare avanti la mia scuola di pilotaggio che, il giorno che sarà arrivato il momento di dire basta con le gare, cercherò di potenziare».

Gran parte della carriera agonistica l’hai fatta col numero 44 sulla carena: come mai? «La prima moto che mi regalò mio padre era la replica in miniatura di quella di Sarron quando correva per il team francese Gauloises e portava il numero 4. Da allora è diventato il mio portafortuna. Se era libero, lo sceglievo, in caso contrario lo “doppiavo”. Così, per finire, mi sono fidelizzato al 44».

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IL PERSONAGGIO

Roby Rolfo è nato a Torino il 23 marzo 1980.
Nel 2001 si è trasferito a Montagnola, e successivamente a Paradiso, dove risiede tuttora, ottenendo anche la cittadinanza svizzera. Quattro le vittorie nel Motomondiale, su 153 gare disputate con le «vecchie» 250 e nella Moto2. Come miglior posizione nella classifica finale Rolfo vanta il 2° posto nella stagione 2003. Nel 2006 ha fatto il suo esordio con le Superbike (miglior risultato un 8° posto) e dal 2013 nelle Supersport, dove ha ottenuto un 6° posto come suo miglior risultato finale. 

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