Ticino7

Red Scorpion racconta il wrestling

Che non è 'tutto finto' come pensate, e merita di essere spiegato da un tipo intelligente

21 luglio 2018
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

A Lugano c’è una palestra di lotta sul pianoro della Stampa, periferia tristanzuola, ancora indecisa fra i capannoni grigi del suo passato industriale e un auspicato futuro di zona verde. Si chiama Fight Gym Club, e le decalcomanie in vetrina promettono tizi nerboruti e allenatori severissimi. Ma siamo in Ticino, non nel Bronx. Qui niente è davvero aggressivo: la palestra condivide il bar con la vicina bocciofila, popolata da attempati eroi del punto e volo, che fra un bianchino e uno sguardo al giornale paiono poco impressionati dai bicipiti della porta accanto. 

Da Bologna con furore

Incontro qui Fabio Giarratano. In arte: Red Scorpion. Fabio è un wrestler di casa, da queste parti: ogni paio di mesi porta su da Bologna muscoli e tatuaggi, indossa una tuta attillata e una maschera da scorpione, e si impegna a scaraventare qualche suo simile da un lato all’altro del ring, davanti a diversi adulti e tantissimi bambini. Ma senza la maschera è anzitutto una persona dallo sguardo dolce e dai modi gentili. Lo Scorpione Rosso ha fatto l’istituto d’arte a Faenza, e prima di vivere di wrestling – «come atleta e come allenatore» – lavorava con la ceramica: «È un mio compagno di corso che ha inventato la mia maschera, facendo il modello con l’argilla. Anch’io lavoravo molto sulle maschere: modelli in ceramica, volti distorti e deformati». È la stessa creatività che secondo lui contraddistingue il mondo del wrestling, «dove quello che conta è sì l’atletismo, ma anche la capacità di fare spettacolo, di coinvolgere il pubblico». 

Ma non è tutta una finta? «Non è così semplice. Un incontro di wrestling è organizzato in modo meticoloso». Insieme all’organizzazione si decide come impostare la serata, che ruolo interpretare, per così dire: «La vittoria si costruisce già prima dell’incontro, per come riesci a coinvolgere i tuoi fan, per il personaggio che sei in grado di far vivere. Ma i ceffoni che ci diamo in faccia sono veri. Quando uno ti salta sulla pancia devi avere la forza di sostenerlo, e non sempre sai quale sarà la sua prossima mossa». 

Il bello è che «puoi creare un mondo di supereroi, che però sono anche persone in carne e ossa. È per quello che me ne sono innamorato, alle medie. Qual è il primo supereroe che ti viene in mente?» Superpippo, rispondo, nella speranza di metterlo in difficoltà. «Ecco, certo, Superpippo. Ma a Superpippo, o a Superman, quando hai finito il fumetto non puoi dare una pacca sulla spalla o chiedere un consiglio». Non starà cercando di vendermi il wrestling come attività pedagogica? Questi si prendono a mazzate… «Guarda, nel wrestling puoi interpetare il protagonista o l’antagonista. Fare il cattivo è più facile, puoi prendere tutte le scorciatoie che vuoi per impressionare il pubblico e mettere in difficoltà l’avversario. Puoi provocare, entrare e uscire dal ring, attaccare alle spalle. Ma quando sei il buono, devi essere sempre corretto, coerente». E qui succede quello che non ti aspettavi da uno che hai visto malmenare altri energumeni su YouTube. 

Lotta (di classe)

Qui, signore e signori, arriva la storia critica del wrestling spiegata dall’interno. «Nei protagonisti del wrestling convergono valori forti, di ispirazione americana. Guarda adesso Daniel Bryan: uno alto un metro e settanta, peloso, quasi gracile. Incarna l’esempio di quello a cui tutti dicevano ‘non ce la puoi fare’, e invece lui ce l’ha fatta. Ti dice che non devi rinunciare ai tuoi sogni, magari perché i tuoi genitori all’inizio immaginavano per te una vita ‘normale’, come è successo a me. Ma era così già per Bruno Sammartino», un abruzzese emigrato in America a 15 anni, nei primi anni Cinquanta. «Il classico italoamericano bullizzato da tutti, che da wrestler è arrivato a fare il tutto esaurito al Madison Square Garden 188 volte. Lo chiamavano il Sansone italiano. Se arrivi fin lì, vuol dire che hai creato un’identificazione positiva». C’è anche la spiegazione socioeconomica: «Vale sempre il sogno del ceto medio che tira fuoi i cojones, e sfida i ricchi e i potenti».

In Ticino Fabio collabora con Luca Rusconi, in arte Belthazar, che organizza gli eventi di Pro Wrestling Live Lugano. «Qui il pubblico è caldo, e si può ampliare ancora la base di fan. Io e Luca ci siamo conosciuti in combattimento, e di lui ti puoi sempre fidare. È intransigente, onesto, meticoloso». Io me lo ricordo in un look da vampiro metropolitano: giubbotto di pelle, smalto nero, occhi rossi, lingua fuori. «Ma guarda che è uno attento al minimo dettaglio, che ti dice cosa vuole e cosa si aspettava di più. Lo so che sembra che ti stia prendendo per il c*** con lo stereotipo dello svizzero, ma è anche attento alla puntualità». Ora lo so che sembra sia io a prendervi in giro, ma vi giuro che in quel preciso momento arriva Luca, look acqua e sapone, occhiali da architetto, piglio cortese ma compunto: «Scusate, ma dovremmo cominciare...».

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