L'analisi

Campane a morto per Salvini, il ministro del rosario

Il vicepresidente del Consiglio rispolvera i simboli religiosi nel corso della manifestazione nazionalista di sabato a Milano

Ap
20 maggio 2019
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Uno prega a mani giunte, esibisce il vangelo e bacia il rosario, ci manca poco che chiuda i comizi con un “Ite missa est”. E “quelli” lo ripagano suonando a morto le campane, come ha fatto il parroco di Nostra Signora della Salute a La Spezia, per protestare contro la presentazione, a pochi metri dalla chiesa, del libro-agiografia dedicato a Salvini, edito dall’editore neofascista Altaforte.

Se insomma le bordate di Umberto Bossi contro i “vescovoni” o l’allora “papa polacco” gli guadagnarono simpatie e forse voti, la strategia baciapile si sta rivelando ben più problematica per Matteo Salvini. Il rosario esibito a Milano (con i laicissimi Le pen e Wilders accanto), più dei fischi rivolti dalla piazza a papa Bergoglio hanno attirato sul campione dell’estrema destra italiana più di uno strale di chi pure si professa cattolico. Dal parroco di provincia alle testate di riferimento, al segretario di Stato vaticano: “Dio è di tutti – ha voluto precisare Pietro Parolin –. Invocarlo per sé stessi è sempre molto pericoloso”. Mentre ‘Famiglia Cristiana’ ha scritto di “sovranismo feticista”, esempio “di strumentalizzazione religiosa per giustificare la violazione sistematica nel nostro Paese dei diritti umani”. Poi l’affondo: “L’antifona persino smaccata di Salvini pronunciata in quella distesa di bandiere azzurre e tricolori, con i suoi simboli della cristianità utilizzati come amuleti, con quell’uso così feticistico della fede, serve a coprire come una fragile foglia di fico gli effetti del decreto sicurezza, che ha istituito addirittura con delle sanzioni per chi soccorre il reato di umanità”. E in una versione colta come solo i gesuiti (Bergoglio, vi ricorda qualcosa?) il direttore di Civiltà Cattolica ha ricordato che “rosari e crocifissi sono usati come segni dal valore politico, ma in maniera inversa rispetto al passato: se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare, adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio”.

Del resto, i democristiani dei bei tempi andati l’avevano capita, e stavano ben attenti. “In hoc signo” si vince se non si esagera.

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