L'analisi

Ritorno al passato in Venezuela

Sarà ancora l’esercito a decidere la partita in Venezuela

Keystone
25 gennaio 2019
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Sarà ancora l’esercito a decidere la partita in Venezuela. Se si confermerà il costume latinoamericano, più del “popolo” varranno le baionette, e chi tra Nicolas Maduro e Juan Guaidó le avrà dalla propria parte, ne uscirà vincitore. Per ora, a dispetto del dileggio internazionale, il vantaggio è del presidente eletto Maduro al quale l’esercito ha riconfermato lealtà. L’altro “presidente”, il giovane leader dell’opposizione, autoproclamatosi tale nel giorno delle più massicce manifestazioni antigovernative da molto tempo, ha dalla sua l’appoggio di “fratelli” troppo grandi per essere raccomandabili. Il riconoscimento assicuratogli da Donald Trump è stato troppo fulmineo per non dare adito a qualche retropensiero.

Prima di schierarsi con Maduro o con Guaidó (neanche fosse un derby), bisognerà convenire che lo sviluppo politico della crisi venezuelana (insieme all’affermazione di Bolsonaro in Brasile) è un ulteriore segno del ritorno al passato di un Sud America nel quale la successione e la conferma al potere avvenivano via colpi di Stato, e dove l’autoritarismo faceva largamente premio sulla democrazia. Il tutto sotto lo sguardo e l’interessata tutela “amerikana”.

Prima di essere politica, e comunque più tragica, la crisi venezuelana è quella di un Paese abbandonato in pochi anni da tre milioni di abitanti, che nemmeno la propaganda più spudorata potrebbe definire “nemici” tout court. Un Paese in cui la povertà (che rispetto alle abissali disparità sociali di molti Paesi “democratici” potrebbe anche valere da certificato di virtù sociale) si è degradata in una miseria che un tasso di inflazione giunto al milione e trecentomila per cento priva di ogni prospettiva di riscatto. Il fallimento di Maduro (nel quale ha comunque un ruolo il crollo del prezzo del greggio) non poteva essere più tragico e netto, con tutte le colpe che si possono imputare all’immancabile “imperialismo”.

In un sistema in cui il carisma pur cialtrone di Hugo Chavez era il carburante necessario al suo funzionamento (e a sua volta al suo isolamento, viste le alleanze che esibiva), l’avvento al potere di una figura scialba come Maduro ha fatto venire alla luce tutte le falle dell’intelaiatura ideologica su cui il sistema si reggeva. La successione di forzature istituzionali con cui Maduro ha tentato di ridargli forza ha solo finito per confermarne e aggravarne l’isolamento.

Che la patente di democraticità (pur “bolivariana”) del regime venezuelano fosse da tempo scaduta è noto. Che tuttavia questa circostanza ne attribuisca una all’opposizione che lo vuole rovesciare, è altrettanto discutibile. Guaidó, a differenza dei conglomerati economici che hanno tramato prima contro Chavez e poi contro Maduro, ha avuto il coraggio di tentare un atto di rottura, rischiando quantomeno la prigione. Ma reclamarsi presidente per investitura popolare sulla scorta di un pur massiccio movimento di protesta è a sua volta un passo al di fuori della democrazia formale di cui si denuncia l’abuso da parte di Maduro. Il sostegno che Trump gli ha assicurato affermando che “tutte le opzioni sono sul tavolo”, a un vero democratico dovrebbe suonare come una minaccia.

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