L'analisi

Kim Jong-un chiama Trump risponde

Un coup de théâtre durato lo spazio di un giorno, l’invito a un faccia a faccia rivolto da Kim Jong-un a Donald Trump

10 marzo 2018
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Un coup de théâtre durato lo spazio di un giorno, l’invito a un faccia a faccia rivolto da Kim Jong-un a Donald Trump e la pronta risposta positiva di quest’ultimo. Si erano appena spenti gli applausi quando la casa Bianca ha gelato la platea: “prima i fatti, poi i colloqui”.

Solo sei mesi fa, le parole di fuoco scambiate tra i due (aggiunte alla impressionante progressione dei test nucleari di Pyongyang) avevano fatto dire ai più rodati analisti che mai si era stati tanto vicini a una nuova guerra di Corea, ma che al tempo stesso bisognava distinguere tra millanterie e reali capacità e volontà di attacco. Così, anche l’ultimo sviluppo, anticipato comunque da più di un segnale, richiedeva di essere accolto con la stessa prudenza, pur se l’aspettativa si è apparentemente sostituita al timore.

Ciò che infatti non va dimenticato è che i due volti sui manifesti della nuova rappresentazione sono gli stessi di allora; che le convenienze dell’uno e dell’altro non coincidono in alcun punto; e che all’irresponsabilità di uno corrisponde la speculare irremovibilità dell’altro.

Trump si è dapprincipio preso la scena. Il presidente statunitense più improbabile degli ultimi decenni non poteva trascurare l’occasione per tentare di accreditarsi come policymaker globale, capace e forte abbastanza da portare l’arcinemico a più miti consigli. Immagine che necessiterebbe di essere supportata nel breve periodo da nuovi annunci “storici”, a beneficio del suo tasso di credibilità domestica, e del partito repubblicano in vista delle elezioni di midterm (questa soltanto una ipotesi, arrivando le elezioni ben dopo l’ipotetico incontro).

Accettando l’invito di Kim, Trump si esporrebbe a un rischio non trascurabile: intanto riconoscendo come interlocutore attendibile uno dei grandi reietti del nostro tempo; al quale non potrebbe comunque “concedere” alcunché, pena la sconfessione della propria politica. I complimenti e l’incoraggiamento ricevuti da Pechino o da Mosca sapevano più di blandizie che di partecipazione. Tenuto conto, inoltre, che l’impegno di Kim “a lavorare per la denuclearizzazione della penisola coreana” risulta per ora solo dalle prime parole della Casa Bianca, dopo aver ricevuto un “messaggio orale” per interposto latore sudcoreano. Tanto che la portavoce Sarah Sanders ha più tardi precisato: “Abbiamo bisogno di azioni concrete e verificabili”.

Al contrario di Trump, Kim Jong-un non può contare sul presunto estro negli affari, ma sulla solidità di un sistema che apparentemente nulla lascia al caso e su una evidente padronanza della propaganda. Dal suo annuncio dell’avvenuta acquisizione dello status di potenza nucleare, la Corea del Nord ha modificato i toni del proprio discorso fino a riuscire nella efficacissima operazione di immagine di una Corea riunificata almeno alle Olimpiadi. Voleva che gli dessero ascolto, e, per ora, ha ottenuto molto di più, prendendosi il lusso di invitare il presidente degli Stati Uniti a un dialogo diretto e ricevendone la disponibilità.

Dei due, Kim (vale a dire un apparato ideologico-militare spietato e inattaccabile) è quello che rischia di meno. Anche perché può contare su un necessario alleato in Moon Jae-in. Il presidente sudcoreano, terzo protagonista della vicenda, è a suo modo decisivo. Fin dai giorni della più arroventata polemica tra Kim e Trump, Moon ha assunto il ruolo indispensabile della ragionevolezza, conscio del destino di tragedia e distruzione che toccherebbe al proprio Paese in caso di conflitto, e perciò determinato a resistere anche alle pressioni del proprio ingombrante e imprevedibile “protettore”.

Saggio nel cogliere l’opportunità della ‘tregua olimpica’, Moon è stato lungimirante nell’incoraggiare la sua estensione indeterminata. Fino a prestare la propria mitezza alla tracotanza di Trump, disarmandola (di nuovo: per ora).

Non si sa ancora se lo stesso Moon ha immaginato anche una exit strategy nel caso l’annunciato incontro storico si risolvesse in un fallimento. Se vi riuscisse sarebbe un capolavoro. In caso contrario, un guaio, forse una catastrofe.

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