L'analisi

Che razza di repubblica

La “difesa della razza”, la riapertura dei bordelli, l’eliminazione dell’obbligo delle vaccinazioni, l’abolizione del canone tv, il taglio delle tasse

17 gennaio 2018
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La “difesa della razza” (chissà se Fontana ricorda le leggi razziali d’epoca fascista?), la riapertura dei bordelli, l’eliminazione dell’obbligo delle vaccinazioni, l’abolizione del canone televisivo, e, naturalmente, il taglio delle tasse. Siamo soltanto all’inizio, ma il carattere della campagna elettorale in vista delle elezioni legislative italiane si va profilando con chiarezza. La si può osservare con giustificato sconcerto, ma si può anche tentare di interpretarla come l’evento che chiuderà definitivamente la fase della cosiddetta “seconda repubblica” introducendo confusamente gli elementi di quella che forse un giorno chiameremo “terza”.

La prima cadde per effetto di un combinato di sollevazione popolar-giudiziaria e del passaggio a un sistema elettorale maggioritario. Dall’infamia e dalle macerie si erano a stento salvati pochi partiti di quelli che avevano concorso a fondare la repubblica (uno solo, a dire la verità, ed essendo a sua volta passato per l’imbuto della storia: il Pci, poi Pds, poi Ds), e paradossalmente quello che i costituenti avevano bandito dalla Costituzione: i fascisti, seppur “post”. Gli uni e gli altri, comunque, costretti a misurarsi con le novità rappresentate dalla Lega e dal partito-azienda di Berlusconi, da un lato, e con l’irruzione della cosiddetta “società civile” sulla scena istituzionale, dall’altro: i Di Pietro e il carrozzone di saltimbanchi che si sono tirati dietro o hanno ispirato. Una compagnia di giro (equamente spartita tra le nuove sigle) che alternava il tempo rubato in parlamento e quello scialacquato in televisione.

È durata una ventina d’anni, un po’ di più. Il tempo necessario a far sedimentare il mutamento profondo avvenuto nella società e nella politica: la prima dispersa in unità incomunicanti o conflittuali, come a dare ragione – a posteriori – a una certa Thatcher; la seconda svuotata dall’interno della capacità di rappresentare e organizzare le istanze della società, e di proporsi come guida (per la conservazione o per il cambiamento, a quel punto ormai non faceva più differenza), e ridotta a un sistema di formazione di consenso in vista di scadenze elettorali. L’abbaglio che ne ha accompagnato la fine, e di cui è stata vittima consenziente una cosiddetta sinistra, fu che l’uscita di scena dell’uomo che quel ventennio aveva incarnato, avesse risolto la pendenza.

Illusi. Il successivo interregno sembra essere soltanto servito alla suddetta sinistra (divisa tra il vacuo narcisismo di Renzi, i retori del risentimento e i fuoricorso movimentisti) per portare a termine il proprio inevitabile, inglorioso e colpevole suicidio. Che ha significato l’abbattimento dell’ultimo argine all’ondata di qualunquismo che sommergerà il prossimo parlamento.

Non perché l’alternativa alla sinistra siano la palude o il caos, ma perché, per come è andata la storia dell’Italia repubblicana, solo da quelle parti resisteva una pur stanca tradizione di conoscenza e capacità di essere istituzione e di garantire per la Costituzione e la democrazia.

Gli aspiranti fondatori del nuovo mondo non sanno che farsene di simili orpelli retorici e considerano a loro volta risolta la pendenza. Lo dimostrano il registro della propaganda e la scelta dei bersagli retorici: la disputa avviene nell’estesissimo campo qualunquista, dove si attingeranno i voti decisivi. Considerando probabilmente che la liquidazione della sinistra è cosa fatta, la sfida avverrà tra una destra e l’altra, il cui livello – umano e di pensiero – è grossomodo quello citato in apertura. Benvenuti nella terza repubblica.

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