laR+ IL COMMENTO

Trump il politico e il palazzinaro

Il presidente americano si muove come un elefante in una cristalleria, facendo promesse da gradasso che per ora non ha mantenuto

In sintesi:
  • Voleva la distruzione del ‘Deep State’, finora ha messo a segno solo una serie di passi impulsivi che non hanno impressionato l’elettorato
  • Le due grandi guerre in corso le aveva dichiarate facilmente risolvibili, sottovalutando la situazione. E, infatti, si sono complicate entrambe
Trump costruttore nel 1985
(Keystone)
14 aprile 2025
|

“Distruggerò lo Stato profondo, e ripristinerò un governo controllato dal popolo”. Promessa del tycoon nella sua seconda campagna elettorale. Slogan alquanto discutibile. Per Donald J. Trump lo “Stato profondo” è riferito soprattutto alla giustizia con cui ha dovuto fare i conti sia nei suoi anni da imprenditore sia in quelli della carriera politica, mentre per i suoi elettori è il potere centrale da sempre osteggiato da quella che chiamiamo, a sua volta, l’“America profonda”; inoltre un’America che non ha mai conosciuto il “governo controllato dal popolo”, ma piuttosto governi via via espressione di diverse consorterie economiche.

Per quanto riguarda poi la distruzione del “deep State”, nei suoi primi impulsivi passi (col licenziamento di migliaia di impiegati amministrativi e di insegnanti) “The Donald” non ha certo entusiasmato l’elettorato statunitense. Lo dicono i sondaggi. Certo, non è sui primi ottanta giorni che si può prevedere e giudicare un intero mandato presidenziale. Ma la lotta anti-statale, la cui guida è stata assegnata al leader dei tecno-magnati Elon Musk, ha inquietato più che convinto.


Keystone
Da palazzinaro altolocato...

In più la “guerra dei tassi”, guerra commerciale che ha in sostanza indebolito il profilo politico del magnate di governo. Un Donald Trump sconfitto dall’economia. Sono state infatti le risposte al suo progetto economico a bocciare e bloccare Trump. Scivolone del dollaro, accresciuta debolezza dei titoli di Stato americani, forti avversità dello stesso apparato di tecno-magnati che lo hanno fin qui sostenuto: così la ‘tenuta’ del capo della Casa Bianca si è arenata in una manciata di giorni. Hanno avuto un ruolo dissuasivo anche le risposte esterne. In parte minore quelle di un’Europa che, pur nella sua debolezza organizzativa, ha cercato di tenere la schiena dritta; ma soprattutto il peso della ferma replica cinese allo spropositato ed esclusivo aumento dei dazi americani al 145% a cui Pechino ha replicato da grande potenza concorrente. In grado di attrarre l’interesse e ulteriori investimenti e acquisti dell’Europa “scroccona”. C’è naturalmente da sperare che Bruxelles sia consapevole dei rischi di un’eccessiva apertura dei suoi mercati alle merci cinesi a basso costo (primo fattore della crisi dell’automobile europea).

Un riavvicinamento con Pechino potrebbe registrare un beneficio per l’Europa anche sul terreno della guerra d’Ucraina, dove la “sbruffonata” trumpiana della guerra da “risolvere in sole 48 ore” facilmente si rivela per la scemenza che è, viste le prevedibili resistenze di Putin, che ha tutto l’interesse a guadagnare tempo senza rinunciare a deliberati pesantissimi bombardamenti contro obiettivi civili, come avvenuto durante quest’ultimo weekend di sangue.


Keystone
... a presidente degli Stati Uniti

Non che a Trump vada meglio nella tragedia di Gaza, dove ha praticamente lasciato carta bianca a Netanyahu: quasi dimenticata l’assurdità, e l’insulto, di esiliarne tutti gli abitanti con la forza e di trasformare la Striscia in una “Rimini del Medio Oriente”, da inventare su quel cimitero a cielo aperto che è ormai la terra dei gazawi; dove, come segnalato dall’Onu, “gli ultimi sessanta attacchi delle forze armate israeliane hanno provocato morti solo fra donne e bambini”. Primo bilancio da palazzinaro sempre sull’orlo del definitivo fallimento. Per ora questo rimane il politico Donald J. Trump.