La resistenza oggi si declina sempre più nella quotidianità degli individui. Anche attraverso i boicottaggi, pacifica espressione di indignazione
Chi di noi non ha mai sentito, di fronte alle interminabili cruente immagini dal fronte bellico, o ai deliri e aggressioni verbali dei nuovi padroni del mondo, la ‘news fatigue’?
Gli psicologi ci spiegano che si tratta di una reazione di autodifesa al sovraccarico di informazioni negative. Il ‘mental break’ diventa così necessario per liberarsi dalla frustrazione e dal senso di impotenza che proviamo in un mondo impazzito in mano a megalomani narcisisti squilibrati (Trump e Musk) o criminali ricercati dalla giustizia internazionale (Netanyahu e Putin). Un avvilimento alimentato pure dalle reazioni deludenti, spesso blande o inesistenti di governi timidi se non pavidi. Anche la voce della Svizzera, depositaria delle Convenzioni di Ginevra calpestate da decenni in Palestina, appare flebile, sfasata rispetto a quella che il giornalista Eric Salerno, uno dei più autorevoli corrispondenti dal Medio Oriente, ha definito la “disumanità stragista” a Gaza, messa in atto in rappresaglia all’eccidio del 7 ottobre.
Che fare individualmente, come opporsi allo scempio, alla crescita un po’ ovunque dei partiti dell’odio? In ‘Elogio della ribellione’, il neuroscienziato Lamberto Maffei spiega che la globalizzazione e la tecnologia, il costante bombardamento di stimoli, hanno isolato gli individui, ostacolando consapevolezza e riflessione. La ribellione diventa allora atto di giustizia ed emancipazione: nulla di nuovo, in fondo era già così ai tempi di Antigone o Prometeo.
Oggi la resistenza si declina in diversi modi nella quotidianità degli individui. Un’arma in mano ai consumatori europei, quando ad esempio decidono di boicottare Tesla facendo tremare la casa automobilistica a cui Elon Musk deve il 60% del suo patrimonio, o a quelli canadesi che urlano forte il loro no all’annessione voluta da Donald Trump disertando i McDonald’s e gli Starbucks o rinunciando al Bourbon del Kentucky.
Se le sanzioni occidentali, seguendo logiche a geometria variabile, rispecchiano raramente genuini princìpi morali (Russia sì, Israele no, Iran sì, Arabia Saudita no ecc.), il boicottaggio costituisce una pacifica espressione di ribellione dal basso. Prodotti di consumo, viaggi, istituzioni economiche, culturali o sportive, eventi. La massiccia presenza di leader dell’estrema destra mondiale alla conferenza di Gerusalemme sull’antisemitismo, prevista fra qualche giorno (presieduta da un premier ricercato per crimini contro l’umanità...), ha indotto diversi rappresentanti della comunità ebraica internazionale a boicottare l’evento.
Le forme di militanza individuale sono più numerose di quanto non si possa pensare. 15 anni fa Stéphane Hessel, intellettuale, resistente, scampato al lager di Buchenwald, aveva pubblicato ‘Indignez-vous!’, un volumetto che ebbe ampia eco, in cui invitava i lettori a insorgere pacificamente contro ingiustizie e guerre.
Non sappiamo se Armando Dadò lo abbia letto, ma l’anziano editore valmaggese (di certo non un pericoloso rivoluzionario), ferito nell’anima dalle atrocità in corso a Gaza, ha fatto recapitare a tutti i consiglieri agli Stati una lettera in cui li ha supplicati di non tagliare i fondi all’Unrwa. Chissà che con quel gesto non abbia contribuito anche lui a evitare, nel momento di massima urgenza, il cinico abbandono della tradizione umanitaria elvetica?