laR+ IL COMMENTO

Senza lasciare ad altre i cocci di cristallo

È l'8 marzo di un nuovo quarto di secolo ma tra le categorie più sotto attacco troviamo ancora quella più vulnerabile delle donne con passato migratorio

In sintesi:
  • Dalle cronache locali: ci sono le storie di Dunia, Zelal, Noushin. E di una ragazza rumena di cui nemmeno conosciamo il nome
  • Vanno cambiate queste trame, radicalmente, riconoscendo la responsabilità politica delle oppressioni, al plurale
(Imago)
8 marzo 2025
|

Torno a scriverti da queste colonne a un anno di distanza dai tuoi primi sorrisi, figlia mia, ora che inizi a mettere in fila qualche passetto incerto nel mondo. In questo ruotare della Terra tra un 8 marzo e l’altro l’esistenza delle donne ha mantenuto quasi intatto il suo corollario di svantaggi. È una lotta di trincea, quella per le pari opportunità, poiché le conquiste civili e sociali non sono un’assicurazione a vita. Con l’attuale cadenza né io né tu arriveremo in tempo all’appuntamento con la loro realizzazione: dice il ‘Global Gender Gap Report 2024’ che ci vorranno 134 anni sul piano economico, politico, dell’educazione e della salute per colmare il divario di genere mondiale. Significa che da quando i tuoi passi si faranno più decisi, a lungo ancora incontrerai chi ti verrà a dire che certi terreni, certe ambizioni, certi diritti non si addicono a te che sei nata bambina. Limitazioni ancor più grandi se portassi addosso il segno della tua origine straniera, di cui io e il tuo papà abbiamo deciso di privarti, dandoti solo quel suo cognome che per questo triangolo di terra ha un suono più accettabile. La percepivo distintamente, sai, quella linea invisibile che passava tra i banchi di scuola, i gruppetti a ricreazione, i quartieri del paese, a dividerci per provenienza, e non ho voluto rischiare che ci dovessi convivere pure tu. All’alba di questo nuovo quarto di secolo tutto ciò succede ancora, e tra le categorie più sotto attacco troviamo quella maggiormente vulnerabile delle donne con passato migratorio.

Dalle cronache locali: c’è Dunia, 27 anni, apprendista Ail fuggita da due guerre, di cui una foto col velo usata dall’azienda è stata presa di mira quale simbolo di mancata integrazione dal direttore di un domenicale che settimanalmente trasforma le origini delle persone in attributi svilenti o criminalizzanti. C’è Zelal, 20 anni e un’infanzia in Turchia, che deve interrompere gli studi alla Csia essendo terminate tutte le istanze di ricorso interne e in attesa che la Cedu si pronunci contro la decisione delle autorità di rimandarla là dove teme per la propria incolumità in quanto curda e donna. C’è Noushin, 36 anni, madre sola con due bambini di cui uno nato dopo lo stupro di un passatore, che vive nell’inquietudine di dover far rientro in Iran e perdere il piccolo nato fuori dal matrimonio. Tre esempi di inclusione messi in discussione o pericolo dalla politica o dalle sue leggi. Non c’è più invece la ragazza rumena di cui nemmeno conosciamo il nome, uccisa in una fredda notte senza luna in mezzo ai boschi di Lodrino. Aveva 21 anni e veniva da oltreconfine, perché le professioniste del sesso di qui non osavano più avvicinarsi a colui che poi l’ha ammazzata.

Brutti racconti, figlia mia, pieni di una violenza che ha lontane radici storiche. Non sono orchi o lupi i protagonisti, predatori per natura come nelle favole dei tuoi libri, ma uomini plasmati da una cultura sistemica che legittima a espropriare vite e corpi di donne – a maggior ragione se straniere e povere – per controllarli e disciplinarli, con l’abbigliamento, la coercizione riproduttiva, il denaro, fino all’ultimo respiro. Vanno cambiate queste trame, radicalmente, riconoscendo la responsabilità politica delle oppressioni, che non sono solo di genere ma pure di etnia e di classe. Perché se si rompe il soffitto di cristallo che limita le carriere femminili ma poi i cocci vengono fatti pulire per due soldi a donne costrette a doppi turni di lavoro e minacciate di espulsione, non si tratta di emancipazione ma di complicità nella prevaricazione. Spero, piccola mia, in storie un po’ migliori da offrirti il prossimo anno.

Leggi anche: