laR+ IL COMMENTO

Lo Studio Ovale come un ring

Inedito e grave quanto accaduto al vertice tra Trump e Zelensky: il tycoon dimostra, ancora una volta, che pretende un potere assoluto

In sintesi:
  • Si poteva immaginare che l’incontro fra Trump e Zelensky sarebbe stato ad alta tensione
  • L’Europa non è in grado di sostituire l’America nella tutela militare di Kiev
Parole mai udite
(Keystone)
1 marzo 2025
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Cose mai viste, parole mai udite. È di inedita gravità quanto accaduto ieri a Washington, in quello che è il simbolo del potere americano. Di sicuro, nella sua secolare storia, il mitico Studio Ovale della Casa Bianca, una volta chiuse le porte e isolati i protagonisti degli incontri al vertice, avrà assistito a scambi di battute anche durissime, ma mai, appunto, nella modalità a cui tutto il mondo ha potuto assistere incredulo: davanti a numerosi ospiti, e soprattutto di fronte a giornalisti e telecamere che hanno inviato immagini e scambi subito trasmessi in mondovisione. Qualcosa di insolito. E che ha mostrato, ancora una volta, quanto possa essere non solo determinato ma anche insolente l’atteggiamento del presidente americano. Qualcosa a cui ormai ci ha abituato nelle poche settimane del suo ritorno al potere. Potere che vuole essere indiscusso, assoluto, senza compromessi.

Certo, si poteva immaginare che l’incontro fra Trump e Zelensky sarebbe stato ad alta tensione. Con il tycoon deciso a incassare i 500 miliardi di dollari (in terre rare) chiesti al collega ucraino come forma di risarcimento – o meglio: di punizione – all’uomo di Kiev che per tre anni ha resistito all’invasione di Putin, soprattutto grazie alle armi che gli sono state garantite dagli Usa durante la presidenza Biden. E con l’ucraino che ha deciso di replicare all’uomo più potente e supponente del mondo, spalleggiato dal suo vice Vance.

“Devi accettare perché non hai carte in mano, e se non lo fai il conflitto terminerà in un paio di settimane” con la vittoria di Putin; ma soprattutto “stai giocando con la terza guerra mondiale”: sarai cioè responsabile di un fallimento e di un’escalation che potrebbe portare all’apocalisse atomica, e questo per responsabilizzare e per stigmatizzare l’ospite, per mettere in chiaro di fronte agli americani e alla comunità internazionale la grande responsabilità che si stava assumendo l’uomo che egli ha sempre detestato.

Coraggio, moto di orgoglio, o totale incoscienza da parte di Zelensky? Si direbbe le tre cose assieme. Ma come mai un capo di Stato destinato alla sconfitta ha osato reagire, e non si è rassegnato alla durezza dell’uomo che nelle scorse settimane lo aveva già definito un “dittatore” per non aver organizzato surreali elezioni generali, del resto proibite dalla legge ucraina in tempo di guerra? Si può supporre che se il presidente ucraino ha studiato politicamente la sua mossa, lo abbia fatto per due motivi: i recenti scontri con l’inquilino della Casa Bianca lo hanno finora premiato in termini di popolarità interna; di fronte a un Trump deciso a cedere quasi tutto a Putin (la “pace facile”), tanto valeva reagire e tentare di compattare dietro di sé l’Europa. Che infatti ha reagito per la prima volta quasi unanime in difesa dell’Ucraina e del suo presidente.

Calcoli entrambi inutili o rischiosi. L’Europa non è in grado di sostituire l’America nella tutela militare di Kiev. Le parole non bastano, e le nazioni Ue non hanno mai tentato di elaborare un piano comune di dialogo col Cremlino, comunque restio a intavolare discussioni senza l’acquisizione e l’inclusione territoriale nella Federazione russa della parte di Donbass conquistato. Le reazioni di Mosca, soprattutto quella del mazziere Medvedev che ha definito “un porco” il leader ucraino, fanno presagire altri attacchi e altri bombardamenti punitivi.

In un mondo dove, dalla Casa Bianca al Cremlino, tutto sembra dipendere dai rapporti di forza, l’immagine più eloquente al termine dello scontro era quella dell’ambasciatore ucraino negli Stati Uniti: piegato, e con le mani fra i capelli.