laR+ IL COMMENTO

Lo sceriffo e l’Europa

Questa volta Trump non ha soltanto scelto un vicepresidente, ha anche scelto il suo successore: James David Vance

In sintesi:
  • Thiel è il mentore e finanziatore elettorale di JD Vance
  • Che l’inviato di Trump faccia all’Ue la morale sulle ‘libertà tradite’ oltre che bizzarro è paradossale
(Keystone)
17 febbraio 2025
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Stavolta Trump non ha scelto un vicepresidente, ha scelto anche un successore. Nel primo mandato il numero due fu Mike Pence, postura istituzionale, pochissimo portato alle risse trumpiane, che si rifiutò di assecondare il gran capo nel giorno dell’assalto al Congresso. Improbabile invece che l’attuale vice, James David Vance, avrebbe disobbedito: ex critico di Trump ma folgorato dal ‘Don’ dopo l’elezione repubblicana al Senato nello “Stato-chiave” dell’Ohio, adolescenza tormentata da una madre alcolizzata e prigioniera della droga, una gioventù pervicacemente dedicata agli studi per sfuggire alla miseria di una regione che aveva subìto la desertificazione industriale e gli effetti negativi della mondializzazione, il tutto raccontato in un libro e un film di successo, ‘Elegia americana’. Dopo l’arrivo nella Silicon Valley e i primi buoni affari, la seconda svolta nella vita di Vance fu l’incontro con Peter Thiel, nato in Germania, laurea in filosofia ottenuta negli Usa: multimiliardario, co-fondatore di aziende di successo nel campo dell’analisi di dati per la sicurezza, Thiel è il teorico dell’anarco-capitalismo americano, favorevole all’eliminazione persino dei ‘monopoli’ statali: moneta, difesa, giustizia. Lui, Thiel, è il mentore e finanziatore elettorale di JD Vance, ora un predestinato al potere supremo.

Perciò non sorprende che, attesissimo ospite della Conferenza di Monaco sulla sicurezza europea, il vicepresidente americano abbia debuttato con questa avvertenza: “C’è un nuovo sceriffo a Washington, si chiama Donald Trump”. Si è quindi lanciato in una severa lezione sulla democrazia e sulla libertà, che nel vecchio continente l’Ue avrebbe “tradito”. Precipitando in profonda crisi. Il modello virtuoso è invece l’America, questa America. E qui le cose si complicano. Non che l’Ue sia al riparo da critiche, anzi: dal mancato processo di unità politica e fiscale al ritardo dei progetti di sviluppo economico e tecnologico, dall’affanno nella corsa pacifica allo spazio all’incapacità di preparare una difesa militare comune, dalla continua oscillazione fra impostazioni liberiste e necessità sociali, e poi burocratizzazione eccessiva, lentezza decisionale, regola della maggioranza assoluta.

Ma che proprio l’inviato di Trump faccia all’Ue la morale sulle “libertà tradite”, oltre che bizzarro è paradossale. La focosa lezione arriva dall’inviato di un’America che si consuma in una “guerra civile” in cui una metà del Paese nega all’altra metà il monopolio della “verità”; Paese in cui il vincitore impone il licenziamento di migliaia di lavoratori del servizio pubblico ritenuti infedeli (ma è la “verità”?); in cui gli immigrati “criminali” (ma è per tutti loro la “verità”?) vengono deportati in catene; dove l’uomo più potente del mondo, grazie alla rielezione, evita un paio di processi insidiosi per aver istigato l’assalto al parlamento e chiesto la manipolazione del voto (“verità accertata”); dove sono amnistiati gli assalitori che devastarono gli uffici del parlamento (“verità evidente”). Per i tecno-oligarchi riuniti (o inginocchiati) attorno a Trump la “verità” è che soltanto l’estrema destra può “salvare l’Europa”, come predica Musk. Naturalmente salvarla smantellando l’impegno pubblico dello Stato, le conquiste sociali, le tutele per lavoratori e consumatori. Che ancora la differenziano dal pianeta americano. E questa è l’unica “verità vera” dell’attacco trumpiano contro l’Europa.