laR+ IL COMMENTO

Trump vs Europa (o ‘la guerra dei due mondi’)

Il nuovo presidente brandisce l’arma dei dazi contro il vecchio alleato. L’Unione europea oggi è il vero baluardo contro l’imperialismo americano

In sintesi:
  • Le quotidiane esternazioni di Trump suonano come quelle di un tamarro di periferia: ma sono da prendere sul serio
  • L’America che si vantava tradizionalmente di poter esportare la democrazia, di fatto ha importato il modello dispotico
Con Trump il mondo è un bel casino (o casinò)
(Keystone)
27 gennaio 2025
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“L’Europa non compra nulla da noi” si lagna il presidente che come un bimbo capriccioso a cui hanno rubato il pallone minaccia stizzito ritorsioni “con i dazi o obbligando (sic) gli europei a comprare il nostro petrolio e il nostro gas”. La compulsiva raffica di proclami e decreti disegna abbastanza chiaramente il futuro che preannuncia la rivoluzione trumpiana. Deregulation interna dell’economia, protezionismo esterno, mondializzazione non più liberale, orizzontale, ma sovranista e verticale. Un Occidente con un solo leader, guidato dalla “più grande civiltà della Storia”, un imperialismo il cui motore – scrive il politologo Gilles Gressani – è rappresentato dal ‘tecnocesarismo’ di Elon Musk, a capo di una sorta di ‘Compagnia delle Indie’ tecnocratica planetaria in grado di portare il trumpismo fino a Marte.

Una distopia che scaturisce dalle farneticazioni di uno svalvolato “affetto da disturbi narcisistici maligni e da una visione paranoide della realtà” (‘The dangerous case of D. Trump’, compilation redatta da 27 psichiatri)? È possibile e auspicabile che il tutto si infranga contro il muro della realtà. In fondo come non pensare alla saggezza di Mike Tyson, citato dal prof. Gressani, quando prosaicamente ricordava che “tutti abbiamo un progetto fino a quando non riceviamo un pugno in faccia”.

Al momento però sul ring a dominare è quell’“internazionale reazionaria” (cit. Macron), sempre così sprezzante nel verbo, esaltata dal presidente argentino nel suo velenoso intervento al Wef di Davos contro il cancro del woke, il femminismo, l’inclusione, l’ecologia e l’aberrante giustizia sociale”. Il ‘dream team’ elencato da Javier Milei comprende, oltre a Trump, Meloni, Orbán campione anti-Ue e Netanyahu, che in bacheca può esporre diversi trofei nel campo dell’apartheid, della pulizia etnica e dei crimini contro l’umanità. Vi è naturalmente da aggiungere Alice Weidel, fiamma politica di Elon Musk, leader del partito tedesco di estrema destra Afd, in odore di simpatie neonaziste.

Le quotidiane esternazioni di Trump suonano come quelle di un tamarro di periferia: ma sono da prendere sul serio, come ha ammesso a malincuore la premier danese al termine di un’infuocata telefonata: “Trump vuole davvero prendersi la Groenlandia”.

La grande industria e la finanza si schierano entusiaste coi nuovi oligarchi. Boati e applausi scroscianti quando Trump promette trivellazioni à gogo (‘drill baby, drill’) o deportazioni di massa. Meno regole, meno tasse: menu appetitoso.

“L’Europa è un mito, non funziona”, tuona Larry Fink, Ceo del colosso BlackRock (11’500 miliardi di dollari di attivi). Vero, come ammette anche Christine Lagarde, presidente della Bce, che il Vecchio continente non funziona ancora come un mercato unico. Ma l’Ue oggi è il vero baluardo contro l’espansionismo e le prevaricazioni americane. Rafforzare l’Europa è l’unica via per far fronte al nuovo imperialismo.

Svolta storica, fine probabile dell’assetto ereditato dal secondo conflitto mondiale. Trump ha posto gli Usa contro il vecchio alleato. L’America che si vantava tradizionalmente di poter esportare la democrazia, di fatto ha importato il modello dispotico.

Chi combatte contro i mostri, ammoniva Nietzsche, deve guardarsi da non diventare egli stesso un mostro: “Quando guardi a lungo l’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te”.