I discorsi del 27 gennaio, lodevoli, finiscono per proporre una retorica surreale: la realtà smentisce clamorosamente i buoni propositi
Ho la fastidiosa sensazione che il Giorno della Memoria – e rubo le parole alla scrittrice ebrea Elena Loewenthal – sia diventata “un grande errore collettivo di chi vuole provare, un giorno all’anno, ad addolcire la coscienza civile e alleggerire il senso di colpa” (E. Loewenthal, Contro il giorno della Memoria, Torino, 2014). Insomma il 27 gennaio come una sorta di postumo di comodo per un simbolico risarcimento di fronte all’abominio dell’Olocausto. Se così fosse, come a me pare, allora il Giorno della Memoria cela una forma di ipocrisia. Si condanna l’orribile scempio con parole inflessibili e si promette “mai più” ma poi, trascorso l’evento, noi cittadini ritorniamo all’indifferenza del giorno prima e i potenti di questa terra a fare ancor peggio del giorno prima.
“Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale”, titola Francesco l’Enciclica del 2020. È l’equivalente ecumenico di quanto laicamente ci raccomanda la Carta dei diritti del 1948: “Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Vi pare che stiamo onorando il precetto?
Insomma il Giorno della Memoria, così come purtroppo è vissuto, pretende di confermare l’assunto secondo cui il ricordo pubblico dell’orrendo sterminio, il senso di colpa che esso trascina, contribuisce a impedire la ricaduta nella barbarie e ci fa migliori. Nei fatti i discorsi del 27 gennaio, lodevoli e pieni di buone intenzioni, finiscono per proporre una retorica surreale se appena li confrontiamo con quello che ci sta attorno: la realtà smentisce clamorosamente i buoni propositi. “Sapere non rende necessariamente migliori”, precisa Elena Loewenthal, e l’attualità politica lo conferma. È essenziale ricordare, ma non basta. La questione la pose Liliana Segre: è importante commemorare, ma è dal giorno dopo che bisogna darsi da fare. Purtroppo il mondo sembra scegliere un’altra strada e l’abbrutimento è generale.
Conclusione: “Non dimenticare” uguale “Mai più” è un’equazione semplicistica e non trova riscontri. A conti fatti, il Giorno della Memoria dovrebbe indurci a perseguire il bene collettivo ma non lo fa: crescono a dismisura le rivendicazioni delle appartenenze, la xenofobia, le intolleranze e camminare insieme è sempre più difficile. Il mondo è costellato di guerre di ogni tipo e cinicamente sono in corso deliranti discussioni per stabilire se quel tale massacro debba essere considerato un delitto contro l’umanità e se sia opportuno parlare di genocidio.
È paradossale, perfino il governo di Israele si distingue nei massacri indiscriminati degli indifesi: fra i cinquanta/settantamila uccisi nella striscia di Gaza la maggioranza sono anziani e donne e poi i cento bambini uccisi ogni giorno. Breve e doverosa avvertenza. L’antisemitismo è condannato dai principi su cui si reggono le liberaldemocrazie, ma il rispetto dei medesimi principi ci impone di denunciare chi li viola, come Netanyahu che lo sta facendo con la brutalità di chi il passato l’ha dimenticato.
Come si concilia tutto ciò con il Giorno della Memoria?