laR+ IL COMMENTO

Sostiene Morin

La Russia è in grande difficoltà, ha accumulato enormi perdite, però non capitolerà: semmai la sua impotenza militare accentuerà una pericolosa escalation

In sintesi:
  • Il pensiero complesso ci conduce pure a distinguere tra colpa e responsabilità
  • Putin è un criminale, ma non è Hitler
Edgar Morin, pseudonimo di Edgar Nahoum, è un filosofo e sociologo francese
(Keystone)

Non sono in molti a poter ambire a spegnere oltre cento candeline. E sono ancor più rari gli ultracentenari in grado di impartirci una profonda lezione di vita e offrirci riflessioni politiche e morali di alto livello. Forte di un’incomparabile memoria storica e di una serenità fuori dal comune («la mia ricetta – ci aveva confidato – è di non invidiare né odiare nessuno»), alla vigilia dei suoi 102 anni Edgar Morin, filosofo e umanista, ci offre un libriccino («Di guerra in guerra» Raffaele Cortina Editore) dettato dall’urgenza di un conflitto che sta portando l’Europa sull’orlo dell’abisso. L’ecocidio provocato dalla distruzione della diga di Kherson, si aggiunge ai massacri e alle distruzioni di oltre un anno di guerra russa. Morin non ama le scorciatoie, tanto popolari in chi ama servire le proprie spremute ideologiche. È il filosofo della complessità. Non solo: ha coltivato un raro spirito autocritico. Ammette di essersi sbagliato quando nel ’44 organizzò una mostra per denunciare i massacri nazisti di Katyn in Polonia («perpetrati in realtà dai sovietici»), di aver sottovalutato in nome dell’ideologia gli stupri in massa e i crimini dell’Armata Rossa in Germania. L’Urss è stata «un tessuto di menzogne, di gulag, di assassinii». Ma ha anche contribuito a sconfiggere il nazismo. Morin ci dice anche con assoluta franchezza che i crimini commessi dagli Occidentali (dai bombardamenti alleati su una Dresda smilitarizzata, dai francesi in Algeria o dagli americani in Iraq) non sono meno efferati di quelli perpetrati dai loro nemici. Il pensiero complesso ci conduce pure a distinguere tra colpa e responsabilità: l’aggressore che voleva invadere e sottomettere tutta l’Ucraina ha il volto del presidente russo. Tuttavia nel campo allargato della responsabilità va inserito l’atteggiamento statunitense, incapace di considerare i timori e le ragioni geo-strategiche di Mosca. La Nato si è espansa nei Paesi dell’est per le inquietudini che nei Paesi satelliti dell’ex Urss hanno suscitato le due guerre in Cecenia o l’aggressione alla Georgia. Come non capirli. Al tempo stesso i bombardamenti di Belgrado e la successiva guerra in Iraq sono stati letti dal Cremlino come un’inaccettabile invasione di campo. Euromaidan nel 2014, scrive Morin, fu una rivoluzione democratica filoeuropea. Ma l’insensibilità occidentale ne fece strumento di umiliazione, offrendo su un piatto d’argento l’immediata (e mai ammessa) invasione russa del Donbass e della Crimea (penisola strategica sul Mar Nero, russificata da Stalin con la deportazione in massa dei Tartari turchi e poi integrata da Chruscev all’Ucraina). A meno di non credere che si possa far fronte ai tank e missili armati di fionde, fornire alla resistenza ucraina i mezzi militari per difendersi appare giustificato e inevitabile. Ma non sufficiente. Putin è un criminale, ma non è Hitler. La Russia è in grande difficoltà, ha accumulato enormi perdite, però non capitolerà: semmai la sua impotenza militare accentuerà una pericolosa escalation. I due imperialismi devono parlarsi e accettare delle rinunce. Fra una settimana il segretario di Stato americano Antony Blinken si recherà a Pechino. Come già sottolineato in questi spazi, le residue speranze di pace risiedono oggi in una mediazione della terza potenza (economicamente) imperiale. Per realizzare una pace che – ci ricorda il grande vecchio – può scaturire solo da un compromesso.

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