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La cultura sessista degli 007 elvetici (e non solo)

Un rapporto interno voluto da Amherd rivela problemi di mobbing tra le spie. Ma come si fanno a contrastare le attuali minacce con un'intelligence demotivata?

Oggi sono 159 le donne impiegate nei nostri servizi segreti (Keystone)
7 agosto 2021
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Nel film “Agente 007 - Licenza di uccidere” Sean Connery/James Bond entra con fare baldanzoso in ufficio, con un lancio perfetto centra con il cappello l’attaccapanni, per poi sedersi, disinvolto, sul bracciolo della sedia della segretaria, Miss Moneypenny, che tenta di tenerlo al suo posto dandogli degli schiaffetti sulla mano. Un atteggiamento sessista verrebbe bollato oggi quello del più celebre degli agenti segreti cinematografici.

Pare, in base a un rapporto interno diffuso dal quotidiano 24 heures, un rapporto voluto dalla consigliera federale Viola Amherd, che una “cultura sessista faccia malauguratamente parte della cultura d’impresa” del Sic, il Servizio delle attività informative della Confederazione. Cultura sessista e mobbing, un po’ come alla Ssr. Intendiamoci, nel rapporto di cui stiamo parlando non si fa cenno a molestie sessuali, a parte alcuni commenti fuori luogo sull’abbigliamento delle collaboratrici del servizio. A cosa ci si riferisce, allora, quando si denuncia una “cultura sessista”? Innanzitutto a un consolidato rapporto di superiorità maschile, che si traduce in “comportamenti dottorali”. Il che, tradotto in parole povere, vuol dire che, anche quando una funzionaria dimostra di essere più competente e preparata del capo, quest’ultimo la ascolta con un atteggiamento di malcelata condiscendenza. Una nota decisamente stonata in un dipartimento, quello della Difesa, che si è posto tra gli obiettivi la promozione della condizione femminile, in un esercito in cui, oggi, solo lo 0,9% degli effettivi è composto da donne. Non a caso la consigliera federale Viola Amherd ritiene “catastrofico” il contenuto del rapporto. Anche perché, al di là della scarsa considerazione di cui sembrano godere le 159 donne impiegate nei nostri servizi segreti, c’è dell’altro a suscitare imbarazzo e preoccupazione. Il gruppo di lavoro ha evidenziato che i capi hanno dimostrato di non conoscere i valori del servizio che dirigono. Tanto meno reagiscono se i loro collaboratori non li rispettano. Un quadro desolante considerando il ruolo che dovrebbe svolgere l’intelligence di fronte a fenomeni quali la cybercriminalità, il terrorismo e l’instabilità provocata da ormai quasi due anni di pandemia. Senza dimenticare il traballante ordine mondiale, con la contrapposizione bipolare sino-statunitense e i possibili colpi di coda della Russia di Putin.

Ciò che si dovrebbe evitare, alla luce anche del rapporto “La sicurezza della Svizzera 2020”, realizzato proprio dal Sic, è che sul territorio elvetico si scateni una guerra di spie straniere o, peggio ancora, un nuovo caso Crypto. Quello che si dice sia costato il posto al responsabile dei servizi, Jean-Philippe Gaudin, che lascerà la carica a fine agosto. Insomma, non si possono contrastare nemici sempre più insidiosi con un’intelligence demotivata da episodi di sessismo e di mobbing.

È pur vero che la ministra della Difesa, che rischia di veder sfumare uno degli obiettivi della legislatura, ovvero l’acquisto degli F35, è prioritariamente impegnata su questo versante. Ma forse, con i tempi che corrono, più di un caccia super-sofisticato, servono degli 007 che sappiano anticipare le mosse delle potenziali fonti di minaccia che, come avvenuto con le recenti infiltrazioni di hacker, riescono a mettere in ginocchio una democrazia, assolutamente indifesa dagli armamenti tradizionali.

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