Commento

È la scienza, bellezza!

La pandemia di Codid-19 è una sfida non solo per la scienza, ma anche per il rapporto tra scienza e società

25 aprile 2020
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Stiamo annegando e tutto quello che abbiamo per restare a galla è un canotto mezzo sgonfio: l’immagine forse farà storcere il naso a qualche ricercatore, ma credo – temo – che renda l’idea di come molte persone si sentano, durante questa crisi sanitaria, di fronte alla scienza. Vogliamo certezze alle quali aggrapparci: sul virus, sulla sua diffusione, su cosa dobbiamo fare, su quando arriverà un vaccino; quello che abbiamo, però, sono pareri discordanti, scienziati che si smentiscono l’un l’altro e talvolta litigano e si insultano, chiamando a raccolta ammiratori e tifosi.

Uno spettacolo spesso imbarazzante che comprensibilmente disorienta chi vi assiste – ma che tuttavia non stupisce chi ha studiato almeno un minimo filosofia o sociologia della scienza. Perché se questa epidemia ha rallentato le vite di molti, ha per contro accelerato la ricerca scientifica, esasperando i contrasti tra scienza e società e tra scienza e politica. Perché sì, gli scienziati non concordano sempre tra di loro, ma discutono (e non sempre in maniera civile), si contraddicono. L’illusione di una scienza unita e dispensatrice di indubitabili certezze è se vogliamo un errore di prospettiva: di solito ci confrontiamo con temi su cui il consenso scientifico è ampio e consolidato da decenni, come il riscaldamento globale o i vaccini – per non parlare delle conoscenze scientifiche di base, dalla Terra rotonda all’esistenza di virus e batteri. Così, quando ci confrontiamo con terrapiattisti e altri complottisti, è difficile resistere alla tentazione di parafrasare Humphrey Bogart nel celeberrimo finale di ‘L’ultima minaccia’ urlando loro: “È la scienza, bellezza! La scienza! E tu non ci puoi far niente!”. Ma quella di ‘blastare’ chi, per un motivo o per l’altro, crede in queste sciocchezze è un errore che adesso ci ritroviamo a pagare. Perché non si riesce più a comunicare l’incertezza, quell’incertezza che è il pane quotidiano della ricerca scientifica e che non significa “non sapere nulla”, ma cercare e valutare prove e indizi su cui poi altri – la politica – dovranno basare le proprie decisioni. Così, abituati alle perentorie risposte all’antivaccinista di turno – risposte che non riguardano solo l’efficacia e la sicurezza dei vaccini, ma anche la politica sanitaria –, quando si è discusso di utilità delle mascherine, di tassi di letalità e mortalità, di immunità di gruppo e di strategie per contenere i contagi, comprensibilmente ci si è aspettati la stessa sicurezza oracolare di prima – che però non poteva arrivare perché la scienza, appunto, non funziona così.

La pandemia di Sars-Cov-2 è una sfida non solo per la scienza, confrontata con una malattia nuova da studiare e speriamo controllare, ma anche per il rapporto tra scienza e società. Perché o si riesce a far capire che cosa è e come funziona la ricerca scientifica, quali sono i suoi metodi, quali sono le sue responsabilità e quali invece quelle dei decisori politici, oppure si rischia di perdere definitivamente quella fiducia nel discorso scientifico che ancora abbiamo ma che in alcuni settori vacillava già prima della pandemia. Perché la scienza è un canotto mezzo sgonfio, ma almeno non è bucato e l’alternativa è restare in balia delle onde.

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