Lo storico interviene nella discussione fra il Decs e l'italianista Luca Danzi, invitando il Dipartimento a un po' di autocritica nella gestione culturale

*storico
È noto che Émile Zola, da uomo maturo, disquisì e si occupò di politica: non ne sopportava la mediocrità e constatava che gli intellettuali in genere erano tenuti lontani dalla politica affidata a degli specialisti, o presunti tali, con un infimo livello intellettuale. E lo scrittore ricordava quel tal ministro che – con opportuna e calcolata generosità – gli raccomandava di lasciare il governo del Paese “a noi altri mediocri”. Nessuna allusione da parte mia a uomini e cose di questo Paese, ma certo è che la mediocrità, oggi più che mai, è una costante di successo e il concetto di mediocrazia è entrato nel linguaggio comune.
Mi sorgono tali mesti pensieri quando debbo constatare che pure un politico avveduto e di qualità, come il direttore del Decs, annuncia da questo giornale che le critiche del professor Luca Danzi alla gestione della cultura in Ticino debbono essere considerate di scarsa saggezza e addirittura delle corbellerie, ossia delle vere stupidaggini pronunciate da uno sciocco sprovveduto. Il professor Luca Danzi, ordinario di filologia italiana alla Statale di Milano, è uno dei pochi intellettuali che, con profonda conoscenza del contesto ticinese per avervi operato lungamente e con grande autorevolezza, ha voluto prendere posizione ed esprimere, senza complicate circonlocuzioni, ciò che in tanti pensano ma pochi dicono: in questi ultimi tempi si sono moltiplicati i disagi e le critiche sulla gestione della cultura e gli argomenti a sostegno abbondano. Vero è che gli stessi che gridano in privato a proposito dei comportamenti inadeguati di questo/a o quel/quella funzionario/a, poi in pubblico tacciono: chi per opportunismo, chi per quieto vivere, chi per timore. E sono tanti: la figura dell’intellettuale militante, da queste parti, non è molto popolare.
Il potere politico, in questo caso il direttore del Decs, oltre che far passare il suo interlocutore come uno sprovveduto in vena di corbellerie (che, detto per inciso, è l’alterazione eufemistica di un termine ben più pesante) evita il punctum dolens a cui si riferisce il professore Danzi, e, come già capitato in altra occasione, ricorre alla consueta argomentazione fallace, alla manovra diversiva che distoglie l’attenzione dagli aspetti problematici della gestione culturale per deviarla su temi d’altro tipo.
In un paio di recenti articoli pure io, da cittadino con qualche rudimento culturale, mi sono preoccupato delle manifestazioni di disagio e di malessere in seno alla divisione culturale, di dimissioni e proteste di commissari, di lettere indignate. Ne ho ricavato l’impressione che il principio formulato nel 1969 da Laurence J. Peter abbia trovato terreno fertile: risulta che qualche funzionario occupa posizioni “poco congeniali” e inadeguate rispetto a quanto richiesto dalla funzione. E quando questo succede, la penuria di autorevolezza genera atteggiamenti e comportamenti inappropriati, diciamo scarsamente gradevoli, che non riescono a mascherare le difettose competenze.
Il professor Danzi ne prende atto e ritiene che per rimediare l’autorità politica debba fare la sua parte e non lasciar la gestione di un settore così sensibile al libero arbitrio. Tutto qui. Ma secondo il Dipartimento, mi par di capire, la qualità del settore è ottima, tutto funziona a dovere e le critiche non sono plausibili.
Ma allora, mi chiedo, possibile che tutti abbiano torto? I commissari che dimissionano, i commissari che si indignano, le associazioni che redigono mozioni all’indirizzo del Capo del Dipartimento?
Sono tutti vittima di pregiudizi ingiustificati e di qualche livore mai sopito? Mi pare assai improbabile.
E allora, invece di parlar di corbellerie, non sarebbe più proficuo rivedere certi orientamenti, e magari ammettere che gli errori sono difficili da riparare ma qualcosa si può sempre fare? Per esempio, per cominciare, correggere le storture di una commissione culturale cantonale che con incosciente disinvoltura non conta un italianista fra i suoi membri? E magari non sarebbe opportuno, una volta tanto, scansare l’arrocco difensivo ad oltranza e ascoltare chi ha qualche cosa da dire in proposito?