Commento

Quando lo spread è politico

2 giugno 2018
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La crisi politica italiana ha riportato in auge un termine che ai più – per fortuna – non dice nulla: lo spread. Sembra il nome di una malattia infettiva, in realtà è uno di quei concetti anglo-finanziari per addetti ai lavori, utilizzato spesso impropriamente e con toni drammatici da giornalisti e commentatori tv. In pratica, nel caso italiano, misura la differenza di rendimento (i tassi d’interesse) tra i titoli di Stato italiano Btp a dieci anni e gli omologhi tedeschi Bund. Sono possibili altre comparazioni tra titoli di diverse economie. Più è alto questo ‘differenziale’, più il tasso d’interesse sui titoli italiani è elevato rispetto a quello sui titoli tedeschi. In pratica mentre la Germania si finanzia a tassi decrescenti e a costi bassi, l’Italia paga (o spreca) sempre più risorse pubbliche per indebitarsi. In realtà sui bond già emessi, quelli che circolano sul mercato secondario, il tasso non cambia tutti i minuti e tutti i giorni. Lo stock del debito pubblico, di qualunque paese, non è per fortuna rinnovato quotidianamente per intero. Nel corso di quest’anno circa 400 miliardi di euro di debito pubblico dovranno essere rinnovati. Per sapere se il Tesoro italiano pagherà di più o di meno bisogna vedere a quale tasso medio fu collocato negli anni scorsi rispetto a oggi. E non è detto che fosse per forza inferiore. Quindi è sbagliato immaginare che siccome questo benedetto spread sale, aumenti istantaneamente la spesa totale per interessi. Aumenta, quello sì, il costo delle nuove tranche di emissioni. Precisiamo che il debito pubblico italiano è elevatissimo (oltre 2’300 miliardi di euro; il 130% del Pil) e che una sua sostanziosa riduzione farebbe solo del bene all’economia liberando risorse finanziarie a favore di una politica economica espansiva (istruzione, sanità, infrastrutture, innovazione e spesa sociale).

In realtà lo spread ‘italo-tedesco’ in questi giorni cambia perché è cambiato il valore dei titoli trattati sui mercati. Se in tanti vendono i Btp italiani e pochi li vogliono comprare, il loro prezzo scende. Se il prezzo scende, il rendimento (che è fisso) diventa più alto rispetto al valore del titolo. Gli investitori, quindi, accettano di acquistare debito italiano solo se questo costa di meno e rende di più. Diciamo che misura la fiducia degli investitori.

Una delle conseguenze immediate dell’aumento dello spread è quindi la diminuzione di valore degli asset detenuti in gran parte del sistema bancario italiano. I due terzi di quell’enorme mole di debito appartengono a soggetti italiani tra cui anche la Banca d’Italia (attraverso il Quantitative easing della Bce). Ha in pratica un effetto diretto sul loro grado di patrimonializzazione. Da qui il crollo delle quotazioni delle loro azioni. Una situazione potenzialmente esplosiva che potrebbe innescare una reazione a catena di proporzioni immani, tanto da rendere impossibile un salvataggio alla ‘greca’, per intenderci. Di fatto la politica che non ha dato il meglio di sé (la situazione è a dir poco da melodramma, genere teatrale tra l’altro nobilissimo in cui l’Italia ha sempre eccelso nel mondo) è ostaggio degli umori dei mercati ovvero degli investitori e dei loro algoritmi che decidono se vale o meno la pena di rischiare i propri soldi nel Bel Paese.

Se si è giunti a questa situazione drammatica la responsabilità oltre che dei governi che si sono succeduti negli anni (il debito è frutto di scelte politiche squisitamente interne) è anche di una cattiva costruzione della moneta unica. La Banca centrale europea non è una vera banca centrale. Non può, per esempio, finanziare direttamente i governi sul mercato primario come è invece possibile per la Fed americana o per quella inglese. Lo fa attraverso un tortuoso meccanismo, mal sopportato dai tedeschi, sul mercato secondario con il Quantitative easing (si esaurirà entro la fine dell’anno), lasciato alle singole banche centrali nazionali.

È quindi perfettamente legittimo che un governo, frutto di libere elezioni e rispettoso delle regole democratiche e costituzionali, intenda portare in sede comunitaria proposte di riforma delle istituzioni europee e dei vincoli di bilancio. Basta però ricordarsi di onorare i debiti e che le norme del ‘club’ erano note da tempo.

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