Distruzioni per l'uso

Razzismo e buonismo

Con la scusa di combattere il politically correct, si rischia di sdoganare anche il razzismo puro e semplice

((Pixabay))
18 febbraio 2018
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“Secondo te noi siamo razzisti?” “Noi chi?” “Noi. Noi persone… normali?” Mia mamma è famosa per essere una che di punto in bianco ti telefona e tira fuori quesiti spiazzanti. Normalmente mentre stai facendo altro, tipo sorpassare un camion o guardare un film, per cui il dialogo socratico che scaturisce dalla meraviglia viene sempre liquidato con due battute. Ma stavolta la domanda nasceva da un fatto di attualità – la sparatoria fascista di Macerata e le sguaiate reazioni che ne sono seguite – per cui mi è capitato di ripensarci spesso, negli ultimi giorni. Parlo per me – non per “noi” o per le “persone normali”, ché non mi va di fare l’inquisitore di qualcun altro – e penso: sì, dentro di me covano alcuni istinti razzisti, e mi sa che non sono l’unico. Se vedo un rom salire sul mio autobus, controllo istintivamente di avere ancora il portafogli. Se incontro un russo per le vie di Lugano, mi immagino che sia un oligarca e un mezzo criminale. 

Quando un vu cumprà mi avvicina per vendermi un accendino gli do del tu, come se parlassi a un bambino, cosa che non farei mai con un bianco. E così via. Ha ragione Brunori Sas: l’uomo nero è anzitutto il fascista che “semina anche nel mio cervello / quando piuttosto che aprire la porta / la chiudo a chiave col chiavistello”. Devono essere cose che ti entrano nel sangue, pregiudizi talmente radicati in Europa che diventa difficile disinstallarli dal proprio inconscio. Ma questo fa di me un razzista alla stessa stregua di un Salvini o di una Meloni? Come quelli che parlano di ruspe, di finti rifugiati, di invasione?

La vocina

La differenza, come in molte cose, la fa l’educazione. Non tanto nel senso di cultura, quanto di buone maniere. Qualcosa in me nota quegli istinti e cerca di correggerli. “Smettila di toccarti la tasca!” “Smettila di dargli del tu!” “Anche Tolstoj era russo!” È la vocina della ragione, che cerca di raddrizzare una ‘natura’ storta. Solo ipocrisia? Di certo quella vocina soffoca una parte di me. E dire che oggi è tutto un “sii te stesso”, un “non reprimerti”. Oggi che un candidato alla presidenza del consiglio in Italia può dire che “è colpa di chi ci riempie di clandestini” se un fascista si mette a sparare addosso agli extracomunitari. Ma la civiltà è (anche) reprimere gli istinti distruttivi e pericolosi, fare spazio ad altro. La natura sa essere molto cattiva – chiedetelo a Leopardi, poi guardate Salvini – e a volte, più che se stessi, sarebbe meglio essere qualcun altro. Forse, quindi, la distinzione migliore sarebbe quella fra razzisti “in potenza” e razzisti “in atto”. I primi cercano di far tesoro di una battuta di Altan: “Mi vengono in mente idee che non condivido”. I secondi soccombono al fascino autoassolutorio del “dico sempre quello che penso”, incoraggiati da pifferai secondo i quali non farlo è solo “buonismo” e “politically correct”.

Buonisti

Però bisogna fermarsi un attimo a pensare cosa sia davvero, il politically correct. Perché non si tratta solamente di ribattezzare gli handicappati “diversamente abili” e gli spazzini “operatori ecologici”. È prima di tutto un agire nella consapevolezza che alcune parole e atteggiamenti sono violenti, offensivi. Appunto: scorretti. Perché dare a un disabile dello storpio, a una persona di colore dello sporco negro, non è “parlare chiaro”: è essere oltraggiosi. Chi partecipa a una discussione politica, come a ogni sorta di dibattito pubblico, non dovrebbe permettersi di spacciare l’insulto per sincerità. Alla presunta dittatura del politically correct si è sostituito il bullismo della scorrettezza. Gli istinti razzisti vengono titillati e incoraggiati, con conseguenze disastrose. Diventa difficile mantenersi nel solco della buona educazione, costantemente squalificata come “buonismo”. E val la pena ricordare le parole scritte qualche anno fa da Giovanni Maria Bellu: “‘Ogni tempo ha il suo fascismo’, diceva Primo Levi, avvertendo che i nuovi fascismi si diffondono ‘in modi sottili’. ‘Basta col buonismo’ è il nuovo manganello col quale si menano i richiami alle norme costituzionali e anche all’umana pietà. È, in fondo, la sostituzione del ‘me ne frego’ (dichiarazione che almeno richiamava la propria responsabilità personale) col ‘perché non te ne freghi, babbeo?’ È il nuovo olio di ricino dello squadrismo mediatico shakerato con un po’ di analfabetismo civile”.

Angioletti e diavoletti

Per questo trovo particolarmente preoccupante che anche la vecchia borghesia si stia facendo tirare per la giacchetta da questo hooliganismo diffuso, al punto di scimmiottarne i meccanismi mentali. Arrivando a conclusioni come quelle di Fabio Pontiggia a chiosa della sparatoria di Macerata: “Il buonismo che chiude gli occhi di fronte ai problemi e che minimizza episodi e fenomeni gravi, predicando la politica delle porte spalancate sempre e comunque e la colpevolizzazione del nostro modello di società, è condannabile tanto quanto l’estremismo xenofobo (...) Boldrini fa rima con Salvini.” Già, “Boldrini fa rima con Salvini”. È una trovata simpatica, assonante. Ma quando la si scrive appaiono subito l’angioletto e il diavoletto, come nei cartoni animati. L’angioletto che ti dice “non esagerare con le equivalenze morali, Salvini ha sdoganato un attentatore fascista, la Boldrini no!”. Il diavoletto che ribatte: “ma smettila! Parla chiaro! Non ti fare scrupoli!”. È quando la maggior parte delle persone dà retta al diavoletto, che butta male.

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