Commento

Religione e laicità in solaio, riscoperte?

22 settembre 2016
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Il timore, prodotto anche da noi da derive integraliste di alcune frange islamiche, sta facendo riscoprire alcuni principi e valori che avevamo da tempo, se non riposto tra i ferri vecchi in qualche angolo del solaio, perlomeno un po’ trascurato. Principi e valori non di poco conto che hanno fatto la nostra storia: il cristianesimo e la laicità. Ma li stiamo davvero riscoprendo o si tratta piuttosto ‘solo’ di una controreazione a qualcosa che ci fa paura? Ecco alcuni casi emblematici. Qualche anno fa erano nati dibattiti, anche feroci, sulla richiesta poi finita nel nulla di inserire il famoso riferimento alle comuni radici cristiane nella Carta costituente dell’Ue. A fare scattare quel bisogno era proprio l’esigenza – in un momento di crescente disorientamento – di marcare nero su bianco la nostra identità culturale e religiosa, perché cominciava a essere messa in discussione da un’altra identità, pure culturale e religiosa, molto più profilata della nostra, che si stava di nuovo affacciando all’Europa con insistenza. Si è quindi iniziato a temere quell’islam radicale, non ancora secolarizzatosi (come è invece avvenuto qui da tempo con la Chiesa cattolica), che nei Paesi ove è egemone si manifesta anche attraverso la sovrapposizione delle regole religiose a quelle del comune vivere civile. Ma poi non se ne fece nulla, anche perché l’Europa non poggia solo su radici cristiane, ma ha anche assorbito e rimescolato molte altre culture: quella greco-romana, quella ellenica, senza dimenticare la bizantina araba o quella giudaica. Ecco perché, a livello più istituzionale, si è risvegliata da noi l’esigenza di ribadire l’importanza di trovare soluzioni condivise fondate sul famoso ‘etsi deus non daretur’ (come se dio non esistesse). Ribadire, cioè, che la nostra società è retta da una salutare separazione fra Stato e Chiesa, che vuole che lo Stato non si occupi del tema delle ‘anime’, delle scelte individuali che hanno a che fare col foro interiore della persona e, d’altra parte, che la Chiesa non possa pretendere dal legislatore l’imposizione della sua verità, pur potendo difenderla e proclamarla nel rispetto delle regole del diritto. Proprio in questo senso la vicenda ancora rimbalzata questa settimana dei due ragazzini che si sono rifiutati di dare la mano alla maestra a Basilea Campagna è molto emblematica. Perché quei giovani, ora sanzionati e obbligati a svolgere lavori di utilità pubblica, seguendo dei dettami religiosi della loro famiglia, hanno preteso di non rispettare le regole condivise del nostro comune vivere civile. Regole sancite da uno Stato (appunto!) laico! In tal senso è anche comprensibile che l’acquisizione della cittadinanza elvetica per la famiglia in questione sia stata congelata, poiché il suo grado di integrazione nella nostra società è insufficiente. Altrimenti non avrebbero anteposto così vigorosamente le loro regole religiose nei rapporti con chi rappresenta le istituzioni. Torniamo dunque alla domanda iniziale: quanto tali vicende ci portano a riscoprire alcuni principi e valori istituzionali e religiosi della nostra società? Difficile dire. Se guardiamo al nostro essere cristiani due indicatori ci dicono che non siamo messi troppo bene. Le chiese si riempiono per le grandi festività, ma di regola sono poco frequentate, o frequentate soprattutto da chi ha ormai i capelli bianchi. Le nuove generazioni non fanno a gara per iscriversi ai corsi di religione a scuola. Segno che il credo resta uno strumento utilizzato più come collante identitario che non per il fine primo per il quale è stato concepito: la salvezza delle anime. Stessa risposta per la difesa (sempre più necessaria) dello Stato laico. Chi lo invoca, lo fa piuttosto per difendersi da possibili commistioni di regole religiose e civili. Ma più che altro perché la religione che bussa non è la nostra.

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