Commento

L’elefante dietro il filo d’erba

23 luglio 2016
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Nel filmato amatoriale il camion guidato da Mohammed Lahouaiej Bouhlel accelera e punta sulla folla assiepata sulla Promenade des Anglais di Nizza. Attorno, sulla strada, la gente che fugge in preda al panico, mentre un “eroe” in sella al suo scooter tenta di fermare la mattanza gettandosi sotto il bestione in corsa. In Australia un’onda gigante causata dal ciclone Winston si abbatte sui bagnanti causando “numerosi feriti”. Muore, invece, ma il filmato della videosorveglianza non lo mostra, il commerciante ucciso a sangue freddo dal killer di Barletta, che scende dall’auto con un fucile (che si inceppa) e poi vi ritorna per recuperare un revolver con cui può compiere il lavoro. E ancora: la polizia americana che “spara a uomo disarmato e con le mani in alto” o che “uccide un 19enne disarmato”; “le urla e la paura sul lungomare di Nizza dopo l’attentato”; la “donna uccisa alla Fiesta de los toros” in Spagna; il “fuoco dei militari durante il golpe”; e il “colpo di sonno dell’autista” in seguito al quale “il camion travolge le auto: 4 morti”.
La rete (in questo caso una selezione ridotta dell’offerta “informativa” del sito del ‘Corriere della Sera’ nel pomeriggio di ieri) ha perso qualsiasi filtro e nasconde la sua, la nostra deriva, dietro sporadici avvisi che “le immagini possono urtare la vostra sensibilità” o “non sono adatte ad un pubblico particolarmente impressionabile”: l’elefante che trattiene il fiato tentando di nascondersi dietro un filo d’erba.
Il dolore si è ridotto ad adrenalina, audience e banner pubblicitari. Commercializzando la morte e spettacolarizzando la sofferenza abbiamo sdoganato la principale e più pericolosa aberrazione deontologica del mestiere di giornalista. Ci resta il bastione della coscienza individuale. Basterà?