
Iniziamo dalla notizia: Amazon, il gigante del commercio elettronico, ha aperto una libreria. Una libreria vera, con scaffali, libri di carta da sfo-gliare e poltroncine dove sedersi. L’ha aperta pochi giorni fa a Seattle, la città che ospita la sede principale dell’azienda, e forse è un esperimento destinato a fallire o comunque a restare isolato. O forse no: secondo indiscrezioni di qualche mese fa, Amazon starebbe valutando l’apertura, stavolta nella Silicon Valley, di un negozio di alimentari. La rivincita del reale sul virtuale, dei libri di carta sui libri digitali? Può essere. Tuttavia, forse conviene cercare di leggere certe notizie uscendo dallo schema della netta contrapposizione tra i due mondi, quasi si trattasse di un duello all’ultimo sangue nel quale è impossibile non schierarsi per uno dei due contendenti, per la carta o per il digitale. È Amazon stessa a suggerirci di abbandonare certi modelli, quando nel suo comunicato stampa precisa che il nuovo negozio “integra i benefici della vendita online e offline di libri”. Che cosa significa? Significa che a scegliere quali libri tenere e come esporli non è un libraio, ma un computer che analizza le informazioni raccolte dal sito: ordini, recensioni, ricerche, consigli. E così sotto alcuni dei volumi esposti troviamo una scheda con il punteggio medio assegnato dai lettori e un estratto delle recensioni più popolari. Similmente avverrà anche nel per ora ipotetico negozio di alimentari: l’assortimento sarà stabilito in base al comportamento degli utenti del sito. Una integrazione che troviamo anche in un’altra iniziativa dell’azienda statunitense annunciata anche questa nei giorni scorsi: la versione italiana di Amazon Publishing, il ramo editoriale specializzato nel tradurre il meglio – ‘meglio’ decretato automaticamente dalle scelte degli utenti – degli autori che si autopubblicano su Amazon, proponendo i loro romanzi sia in digitale sia su carta. Come andrà a finire è difficile dirlo: forse la libreria di Seattle chiuderà tra un anno, forse ne verranno aperte altre due, forse altre duemila. L’unica cosa certa delle previsioni è che non si avverano. Certo è che il modello proposto adesso da Amazon è interessante perché sembra contraddire i sostenitori della conversione al digitale. Il futuro, forse, non è di chi abbandona il vecchio per il nuovo, ma di chi riesce a integrare le due dimensioni, a portare il virtuale nel reale e il reale nel virtuale. La nuova iniziativa commerciale di Amazon racconta tuttavia anche un’altra storia. Una storia di sfruttamento, perché per la sua libreria Amazon sfrutta la mole di dati che tutti noi più o meno consapevolmente regaliamo quando siamo online. E in tema di sfruttamento l’azienda statunitense è tutt’altro che un modello di virtù, come hanno dimostrato diverse inchieste sulle condizioni dei dipendenti di Amazon. Organizzandosi, i lavoratori hanno recentemente ottenuto un primo risultato: la concessione di un’aspettativa di maternità e paternità di rispettivamente 20 e 6 settimane. Chissà se anche gli utenti sfruttati riusciranno a ottenere qualcosa.