Commento

Wimbledon è roba da Federer

9 luglio 2015
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Non è sempre domenica. Anche in senso letterale, giacché fu una domenica (23 novembre) che la Svizzera conquistò la Coppa Davis che sbatté in faccia alla spocchiosa Francia, ospite altezzosa offesa nel giardino di casa. Meno fortunata la casuale riedizione londinese di quella finale. Uno a uno, bilancio in parità. Federer avanti, che a Wimbledon ha il suo habitat naturale. Wawrinka a casa, con qualche rimpianto per una vittoria che ci poteva stare, per l’ingresso nel Top 4 che lo poteva ricompensare al termine del percorso sull’erba, lui che dall’erba è sempre stato respinto, per un amore sbocciato in tarda età. Dal punto di vista dei colori rossocrociati, così strenuamente difesi a Lilla, si è persa la ghiotta opportunità di portare per la seconda volta due elvetici in una semifinale Slam. Di rinverdire i fasti di Melbourne 2014, gli Australian Open che consacrarono Stan Wawrinka, il quale in finale distrusse quel Nadal che al penultimo atto bastonò Roger Federer. Non è sempre domenica, appunto. Furono giorni di gloria per Stan, quelli di Melbourne. Furono esaltanti anche quelli di Lilla, roccaforte caduta sotto i rovesci del vodese più che per il talento inimitabile di Federer. Il quale, abituato a corone di alloro e riflettori, per una volta fu costretto a condividere il podio e i meriti con il collega. Come accadde a Pechino, ai Giochi nel 2008, l’anno di Fedrinka, il doppio medaglia d’oro. Anche allora, più “-rinka” che “Fed”, a ben vedere. Ma Wimbledon è diversa. Wimbledon è leggenda. È roba da Sampras, tornando un passo indietro. È roba da Federer – più che da Wawrinka –, oggi. Il basilese vi ha trionfato sette volte. È in semifinale per la decima volta. Di semifinali Slam ne ha collezionate 37. Trionfi e onori si possono anche condividere, talvolta, ma i numeri, quando raggiungono tali proporzioni, sono unici. Riservati. Privilegio esclusivo. Non ce ne voglia Wawrinka, a un niente dalla prima semifinale a Londra. Ma se davvero era scritto che per la Svizzera c’era un solo seggio libero, è come se giustizia fosse fatta, con la promozione di Federer. A Londra è lui il cavallo su cui puntare, in barba all’anagrafe. A qualche inevitabile passaggio a vuoto confuso maldestramente col tramonto agonistico, che è invece solo lo scotto da pagare al trascorrere degli anni e ai progressi degli avversari costretti a remare come pazzi per restare in scia. Il suo percorso a Wimbledon, del resto, è lì a dimostrare che sul manto spelacchiato attorno alla riga di fondo, invece che a tre metri dalla rete come accadeva fino a una quindicina di anni fa, è ancora lui l’uomo da battere. Unitamente a Novak Djokovic che lo è pressoché ovunque. Roger, perché quei campi è come se gli fossero stati disegnati sotto i piedi. Il serbo, perché è talmente completo da permettersi di competere su ogni fondo con addosso i panni del favorito. Non ce ne voglia, Stan, ma un Wawrinka a metà non avrebbe avuto alcuna possibilità contro Djokovic. La sconfitta è dolorosa, ma non drammatica. Addolcita dal ricordo ancora fresco di Parigi. Dei due elvetici, era ed è Federer quello su cui puntare qualche sterlina: tirato a lucido fisicamente, ispirato tecnicamente, fresco e leggero come un ventenne in barba ai 34 che compirà tra un mese. Lo ha detto, lo ha ribadito, non si nasconde: ha preparato Wimbledon 2015 in maniera puntigliosa. Su un ottavo trionfo ripone le residue speranze di conquistare lo Slam numero 18. Non stupisce che sia ancora in corsa. Né che il passo sia così spedito ed elegante.

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