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Denaro e controllo, tra i tentacoli della violenza economica

L’associazione Rete Donna con sede a Lugano riceve una trentina di chiamate al mese per casi gravi. ‘Talvolta le vittime sono inconsapevoli di subirla’

Ci sono partner che chiedono conto di ogni spesa effettuata. In tali situazioni recriminazione, umiliazione e ricatti sono all’ordine del giorno
(Imago)
4 marzo 2025
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“Sono una donna adulta, ma vivo come una bambina che deve chiedere la paghetta. E quando lo faccio mi viene rinfacciato”. Mara, 61 anni, si è sposata giovanissima. Ad avere un lavoro remunerato è sempre stato solo il marito, mentre lei si è dedicata alla cura dei figli e della casa. “Il tuo lavoro è stare qui, non hai bisogno di altro”, le diceva. Mara non ha mai posseduto un conto corrente personale e ha sempre dovuto chiedere i soldi per qualsiasi spesa, anche alimentare. Con il passare degli anni, il marito ha iniziato a ridurre il denaro che le lasciava, facendole pesare ogni franco speso. Ora vorrebbe separarsi da lui ma non sa come mantenersi.

“Il mio titolo di studio è diventato carta straccia. Senza reddito, senza una mia autonomia, mi sento prigioniera”. Luisa, laureata in economia e gestione aziendale, ha lasciato il suo impiego spinta dal marito imprenditore. “Non hai bisogno di lavorare, ci penso io”, insisteva. Per anni Luisa ha gestito la casa e cresciuto i figli, senza mai avere accesso diretto al conto bancario familiare. Ogni richiesta di denaro era un’umiliazione, con lui che controllava le spese, criticando ogni acquisto. Quando ha iniziato a manifestare il desiderio di riprendere la sua carriera, il marito ha reagito con ostilità. Adesso che ha 43 anni e sta cercando di ricostruirsi una vita si trova senza un reddito e senza un vero accesso ai soldi perché è tutto intestato a lui.

“Lavoro per mantenere tutti, ma non ho alcun potere. E il mio stipendio è diventato l’arma con cui mi tengono in ostaggio”. Dario, 47 anni, è sempre stato l’unico a lavorare nella sua famiglia. Quando ha chiesto la separazione dalla moglie, lei ha iniziato a ricattarlo emotivamente: “Se non mi dai più soldi, non vedrai i bambini”. Nonostante il mantenimento che le versa, lei gli chiede continuamente altro denaro. Dario si sente intrappolato e vive nel terrore di perdere i figli, ed è dovuto rientrare a vivere con i genitori perché dal suo stipendio restano a malapena i soldi per pagare la cassa malati di base personale.

Grande prevalenza femminile, ma in aumento le segnalazioni maschili

Le tre esposte sono una piccola parte della moltitudine di storie di violenza economica con cui si trova settimanalmente confrontata Rete Donna Svizzera, associazione con sede a Lugano che offre servizi di prima consulenza d’emergenza legale, psicologica e finanziaria a vittime di violenza di genere. «La violenza economica si situa nella macroarea della violenza psicologica e spesso, benché non sempre, avviene quando il partner più fragile economicamente subisce un controllo finanziario», spiega Luisanna Tedde, presidente di Rete Donna. Le statistiche mostrano una grande prevalenza di vittime donne: «La nostra associazione riceve una media di 180 chiamate mensili che includono anche le richieste di informazioni generali, il 75% riguarda donne e circa 30 al mese sono casi di violenza economica grave, anche se magari non si rivolgono a noi in primo luogo per tale motivo perché talvolta sono inconsapevoli di subirla – evidenzia Tedde –. Tuttavia stanno emergendo sempre più casi anche di uomini, dai quali nel 2024 abbiamo avuto il 15% di segnalazioni in più rispetto all’anno precedente».

Riconoscimento che varia tra Paesi

Secondo un sondaggio dell’European Institute for Gender Equality, il 12% delle donne in Europa ha subìto abusi che includevano violenza economica a partire dai 13 anni. In Italia, una ricerca condotta da Ipsos per WeWorld Onlus ha rilevato che quasi una donna su due ha vissuto un’esperienza di violenza economica almeno una volta nella vita, con la percentuale che sale al 67% tra divorziate e separate. «Attualmente in Svizzera non sono disponibili dati statistici recenti e specifici sulla prevalenza della violenza economica all’interno delle coppie, ma da aprile 2023 a ottobre 2024 come Rete Donna abbiamo fatto un laboratorio su questo fenomeno con anche dei confronti internazionali e rispetto ai Paesi vicini siamo più o meno nella stessa barca – commenta la presidente dell’associazione –. Questi dati evidenziano che la violenza economica è un fenomeno diffuso in Europa, anche se la consapevolezza e il riconoscimento di questa forma di abuso variano tra i Paesi. La Svizzera, pur non disponendo di statistiche specifiche recenti, partecipa agli sforzi internazionali per combattere la violenza di genere in tutte le sue forme».

La propensione a lasciare il lavoro

La violenza economica trova spesso terreno fertile nelle situazioni in cui un marito o compagno esercitano pressione affinché la donna lasci il proprio lavoro per occuparsi della famiglia, mette in luce Tedde: «Dall’analisi dei dati risulta che nei primi cinque anni dopo il matrimonio tra il 68 e il 75% delle donne si dimette o comunque modifica i termini contrattuali riducendo le ore di lavoro. Questo in Svizzera è anche alimentato da una fiscalizzazione che non incentiva entrambi i partner a lavorare. Senza dimenticare che nel nostro Ticino il lavoro delle donne e il loro reddito per tanti anni è stato chiamato con l’espressione linguistica “complementare”».

L’influenza degli stereotipi di genere

All’origine del fenomeno si trova l’agire ancora molto forte di stereotipi di genere stando ai quali le donne sarebbero naturalmente predisposte a occuparsi della sfera domestica, di cura, privata, mentre gli uomini sarebbero portati per il potere politico, lo spazio pubblico, il lavoro retribuito. «Sì – conviene Tedde –, questa visione è ancora radicata, anche se pure gli uomini negli ultimi 10 anni si stanno rendendo conto che il mondo è cambiato e che portare avanti una famiglia con un solo stipendio è sempre più difficile. Per la donna lavorare diventa quindi sempre più una necessità, il problema è che se la politica e le amministrazioni pubbliche non lo rendono fattibile dal punto di vista della conciliabilità gli ostacoli si fanno insormontabili».

Se c’è anche violenza fisica la mancanza di reddito inibisce l’allontanamento

Il denaro nel quadro della violenza economica viene usato come una vera e propria forma di controllo, rileva Tedde: «Molte donne ad esempio non hanno accesso al contante, ma possono spendere solo attraverso una carta in modo che dall’estratto conto il compagno possa vedere quanto, dove, quando e per cosa ha usato i soldi. E il ricatto è all’ordine del giorno». Nei casi più drammatici succede che quando una coppia va in crisi la violenza psicologica ed economica sfoci anche in violenza fisica. «È vero che anche dove c’è indipendenza economica si può manifestare la violenza fisica, ma generalmente si scappa prima – considera la nostra interlocutrice –. Una donna senza un reddito invece, soprattutto se ha dei bambini, è più inibita nell’andare via o nello sporgere denuncia, inizia ad esempio a pensare che senza denaro le toglieranno i figli. Questo tra l’altro è il primo motivo di sopportazione della violenza fisica. Se invece si dispone di un conto in banca è anche un po’ meno difficile fare il primo passo e prendere le distanze logistiche dalla violenza, allontanarsi con i figli. Inoltre, come emerge da una ricerca scientifica, cambia anche l’atteggiamento dell’uomo: quando una donna è forte economicamente il compagno è meno ricattatorio». Le conseguenze di questo tipo di violenza sono «l’isolamento sociale in particolare per le donne che non lavorano, in cui spesso si insinua anche un grande senso di colpa, a maggior ragione se sono madri. Ma anche un sentimento di vergogna che vivono in maniera molto forte soprattutto gli uomini».

Donne in procinto di divorziare e prossime alla pensione molto toccate

Una categoria di persone a cui sta fornendo frequente consulenza l’associazione che presiede Tedde è quella delle donne in età pensionabile in procinto di affrontare un divorzio: «Sono donne di diversi ceti sociali che non hanno mai lavorato o hanno smesso di farlo molto presto, con alle spalle una trentina di anni di matrimonio trascorsi a occuparsi della casa, dei figli, dei nipoti, e che al momento della separazione si rendono conto di non avere piani di accantonamento validi. Ci è capitato di accogliere una donna di 63 anni che di punto in bianco ha scoperto che la casa dove ha abitato una vita e che credeva di possedere al 50% non era sua, che la sua carta di credito non funzionava più. In realtà non aveva mai posseduto un conto corrente, lo poteva usare solo grazie a una delega del marito che poi le è stata tolta. E visto che in quel momento lui guadagnava il minimo indispensabile per il proprio sostentamento lei ha dovuto far capo all’assistenza».

Testimonianze sconcertanti dei giovani e prevenzione

Talvolta, come in questo caso, le vittime si trovano catapultate nel problema senza aver saputo riconoscere i campanelli d’allarme. Ciò che può avvenire per diverse ragioni, legate ad esempio al retaggio culturale o all’isolamento dovuto al non lavorare. Per tale motivo Rete Donna si occupa di fare prevenzione lavorando in particolare nelle scuole con i giovani dai 10 ai 18 anni a cui vengono proposti corsi di educazione finanziaria e di indipendenza economica «come strumento propedeutico a una eventuale violenza economica – spiega Tedde –. Ce n’è un grande bisogno perché già in questa fascia d’età capita di raccogliere delle testimonianze che lasciano sconcertati. Ci sono ragazze alla prima relazione sentimentale a cui il compagno ha detto loro: “Tanto tu non lavorerai, è inutile che perdi tempo a studiare, mi occuperò io di tutto”. O giovani coppie che già con i primi soldi dell’apprendistato aprono dei conti in comune che gestiscono con delle app da cui possono controllare ogni spesa del partner. Quello che diciamo loro è che una volta che si va a vivere assieme va bene creare un conto condiviso dove ognuno versa dei soldi, nella misura che decide in libertà, al fine di far fronte alle spese di casa e della famiglia, ma è fondamentale al contempo mantenere sempre anche un proprio conto corrente personale. Insistiamo anche sull’importanza fin da subito di avere una propria risorsa economica che arriva dal lavoro individuale all’interno della coppia. Il fatto è che fintanto che c’è l’amore può andare tutto bene, ma se i rapporti iniziano a incrinarsi c’è il rischio di trovarsi in situazioni estremamente complicate».

Aziende, avvocatura e magistratura da sensibilizzare

Il programma portato nelle scuole da Rete Donna ma in una versione modulata diversamente viene proposto anche alle aziende. «Nello specifico ci rivolgiamo alle sezioni delle risorse umane pure con una veste di consulenti per illustrare quanto possa essere valido pure in termini di profitto un obiettivo come quello di raggiungere le pari opportunità», rileva Tedde, che conclude con un auspicio: «Quello in cui confidiamo come associazione e come donne è anche di raggiungere l’obiettivo di una formazione, obbligatoria e continua, ad acta, per tutta l’avvocatura e la magistratura. Perché assistiamo ancora a troppi modus operandi poco contestuali, lontani dalla realtà attuale, soprattutto quando si parla di economia domestica».