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‘In quei ricoveri mi sono sentito spogliato di tutti i diritti’

Piero ha subito due internamenti coatti che ritiene ingiustificati. Sanità e politica reputano necessario ridurre i numerosi casi impropri della pratica

In sintesi:
  • Miozzari (psichiatra): ‘Attenzione al rischio di derive pericolose come la repressione di tutto quello che esula dalla norma’ 
  • Forini (Pro Infirmis): ‘Alcune persone che non si sa come gestire vengono mandate in clinica psichiatrica senza che questa sia la soluzione migliore’ 
  • Il Consiglio di Stato: ‘Essenziale prevedere ulteriori opportunità formative per i medici’
(Ti-Press)
8 febbraio 2025
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«Vivo nel terrore che la polizia suoni nuovamente alla mia porta per costringermi a tornare in clinica psichiatrica. Ho subito due ricoveri coatti impropri e mi sono sentito spogliato di tutti i miei diritti di cittadino, in balia di un’istituzione che viene usata anche per controllare socialmente e reprimere le persone. Non sto negando l’utilità della psichiatria, ma in quei due casi sono stato vittima di trattamenti inammissibili senza ragione». È un sentimento di grande ingiustizia quello provato da Piero (nome vero noto alla redazione) che racconta a ‘laRegione’ la propria storia. «Dopo un’esperienza di abusi e maltrattamenti quando ero piccolo, sono diventato cocaina-dipendente e ho avuto una crisi psicotica che mi ha portato al primo ricovero in clinica psichiatrica a Zurigo, dove sono cresciuto. Vedendo che dopo il rientro al lavoro la situazione non migliorava ho deciso di affrontare una terapia in una comunità e ho scelto Villa Argentina a Lugano perché desideravo tornare in Ticino dove avevo svolto il servizio militare. Conclusa la terapia, mi sono reintegrato professionalmente, ma una sera mentre tornavo a casa dal lavoro in moto ho avuto un grave incidente. Ho trascorso un lungo periodo di sofferenza e tentativi di riqualifica andati a vuoto, fino a quando mi è stata riconosciuta l’invalidità al 91%».

‘In passato mi hanno pure legato, terribile’

In Ticino Piero ha fatto diversi altri ricoveri, tra cui il primo coatto «perché ho avuto una grave crisi dopo una brutta litigata con mia moglie, nel frattempo diventata ex. Alla Cpc – la Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio – mi hanno anche legato, cosa che ai tempi si poteva ancora fare. Dopo quella esperienza terribile sembra che io sia stato bollato a vita». Ecco come: «Circa un anno fa ho avuto un alterco con una vicina in strada – ripercorre Piero –. Lei mi ha messo le mani addosso, io l’ho respinta ed entrambi abbiamo chiamato la polizia. Una volta sul posto gli agenti hanno ascoltato le due versioni. Per evitare storie ho detto loro che avevo in tasca un coltellino svizzero e gliel’ho consegnato. Hanno mandato via lei, mentre a me hanno comunicato che stava per arrivare l’ambulanza che mi avrebbe portato prima al Pronto soccorso e poi alla Cpc. In clinica mi hanno tenuto oltre una settimana sostenendo, tra l’altro, che avrei minacciato i vicini con un coltello. Ma quando mai?».

‘Sarò rinchiuso ancora per un nonnulla?’

Alcuni giorni dopo, riprende Piero, «mentre ero a casa tranquillo, ho sentito il citofono suonare: “Polizia cantonale, può scendere?”. “No, salite voi”, ho risposto. Si sono presentati in giubbotto antiproiettile dicendomi che dovevo tornare alla Cpc perché avevano ricevuto delle segnalazioni secondo cui da dei miei post su Facebook risultava che mi volevo suicidare. Li ho fatti entrare assicurando che non avevo simili intenzioni, e sono andati via. Pochi minuti dopo si sono ripresentati dicendomi che dovevo andare con loro. Ho chiamato il mio medico di famiglia urlando che lì io non ci volevo tornare, e lui ha cercato di convincere i poliziotti – e in seguito anche il medico della Cpc – che non serviva il ricovero coatto, ma non c’è stato nulla da fare. In clinica hanno cercato di imbottirmi di farmaci che mi avrebbero ridotto come uno zombi. Dopo un tira e molla come al mercato delle pulci ci siamo accordati per un solo farmaco a basse dosi e sono rimasto là un’altra settimana. Dai rapporti che ho richiesto in seguito è emerso che a un certo punto risultavo addirittura fuggitivo benché fossi sempre andato via dopo regolari dimissioni. Ancora oggi non capisco come tutto questo sia potuto succedere».

Piero, che negli scorsi giorni ha avviato le procedure di ricorso alla Commissione giuridica in materia di assistenza sociopsichiatrica (CgLasp), non nasconde la propria rabbia: «Sono stato schedato dalla polizia e ogni volta che si muove una foglia ora vengono per rinchiudermi in clinica? Non è possibile che cose del genere accadano ancora in Svizzera oggigiorno».

Lo psichiatra: ‘Rischio di derive pericolose’

«È vero, c’è un problema riguardo ai ricoveri coatti. Sono troppi perché talvolta sono utilizzati alla leggera, impropriamente». A dirlo è lo psichiatra e psicoterapeuta Amos Miozzari, che evidenzia quanto questo tipo di misura sia «estrema dato che va a ledere gravemente la libertà individuale del paziente. Bisognerebbe ricorrervi solo in presenza di determinati requisiti, vale a dire una pericolosità imminente verso la persona stessa o verso terzi, e in mancanza di un’alternativa possibile. L’impressione è che questi due argomenti non siano sempre presenti quando si decide un ricovero coatto». Ci sono dunque diversi collocamenti che esulano da esigenze di carattere clinico. La ragione, spiega Miozzari, è che «un intervento del genere spesso facilita la vita: se qualcuno inizia a dare segni di disagio acuto a casa, in un reparto ospedaliero o in un Pronto soccorso, il paziente viene mandato in clinica al sicuro, ciò che calma la famiglia rispettivamente agevola i medici nelle strutture sanitarie che possono tornare a occuparsi del resto del lavoro».

Miozzari mette in luce un altro aspetto critico, relativo ai certificati di ricovero coatto che in troppi casi risultano deficitari dal profilo della compilazione. «Ne sono testimone diretto in quanto per tanti anni ho lavorato nella Commissione giuridica Lasp – composta da un giudice, un medico psichiatra e un operatore sociale – che si riunisce intorno al paziente che fa ricorso per un ricovero coatto. Numerosissime volte mi sono imbattuto in certificati incompleti, senza l’indicazione di una chiara diagnosi, della pericolosità e del motivo, o la dimostrazione della mancanza di altre soluzioni possibili».

Nonostante l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale di cui fa parte la Cpc disponga della metà dei letti psichiatrici presenti nel cantone, il 90% dei ricoveri coatti afferiscono a quest’ultima, ciò che talvolta può porre il personale sotto pressione e a rischio. «Sì – conviene Miozzari –, ricoverare coattivamente in momenti ravvicinati tanta gente in fase critica, e magari in stato di agitazione proprio per la misura, può creare un problema di gestione dei pazienti».

I piani su cui agire, secondo lo psichiatra, sono diversi: «Sicuramente c’è un discorso di sensibilizzazione e formazione dei medici da sviluppare (tutti quelli abilitati nel cantone possono ordinare un coatto, ndr). Innanzitutto sul fatto che si dovrebbe sempre agire con l’intervento meno incisivo possibile. Ma anche sulle possibilità che ci sono sul territorio, come ad esempio l’home treatment, la presa a carico da parte di un’unità infermieristica intensiva a domicilio, che è una misura che non tutti ancora conoscono». C’è poi un aspetto più culturale, continua Miozzari, ovvero «quando lo psichiatra è chiamato a un ruolo normativo nelle situazioni in cui una persona sta agendo in maniera inadeguata o non conforme alle nostre abitudini. Mi riferisco ai casi in cui non c’è nessuna pericolosità ma un disturbo della quiete pubblica. Capita che vengano richiesti dei coatti per calmare una situazione generale, per il vicino che canta l’opera la sera tardi o per un parente logorroico che dice stranezze. Questo è inquietante perché si rischiano derive pericolose come la repressione di tutto quello che esula dalla norma». È dunque vero che si tratta di una misura usata anche come controllo sociale? «Assolutamente sì», risponde lo psichiatra.

Pro Infirmis: ‘Mancano altri tipi di strutture’

Pro Infirmis, che si occupa di persone con disabilità, è confrontata col tema dei ricoveri coatti nell’ambito delle proprie attività in quanto, spiega il suo direttore Danilo Forini, «al momento il 50% delle persone con rendita Ai in Svizzera ha un disagio psichico». Dal proprio osservatorio Forini constata un problema per le persone con una doppia diagnosi – in cui il disagio psichico si correla ad esempio all’autismo – che talvolta la famiglia o l’istituto non riescono a gestire e pertanto vengono mandate in clinica psichiatrica, anche per diversi mesi, senza che questa sia la soluzione migliore. «Si è però lavorato molto bene collaborando tra associazioni, istituti, servizi esterni e Clinica psichiatrica cantonale per prevenire il più possibile questo tipo di ricoveri impropri anche grazie a uno specifico protocollo», dice Forini, che più in generale rileva anche dei problemi «nei Pronto soccorso quando arrivano persone sotto l’influsso di sostanze e con scompensi psichici passeggeri che vengono spesso mandate alla Cpc mentre sarebbe meglio prenderle a carico sul posto, ciò che è stato sperimentato con alcuni progetti pilota presso un paio di sedi Eoc. A volte basterebbe anche solo un luogo in cui la persona può “decantare” sotto osservazione. Anche perché i collocamenti in clinica psichiatrica stanno aumentando in modo importante ed è nell’interesse di tutti che venga data priorità a chi ha davvero bisogno di una presa a carico acuta». Il collocamento, giudica Forini, «è sempre un passaggio che lascia segni, a volte anche positivi perché si dà un taglio a una situazione non più gestibile, altre volte però può risultare traumatico». Il direttore di Pro Infirmis osserva inoltre la mancanza di risposte a una casistica che emerge in modo sempre più importante relativa all’invecchiamento di persone dipendenti da sostanze e con problematiche psichiche: non esistono ad esempio strutture per anziani in grado di gestire chi prende metadone. Queste persone sono mandate in clinica psichiatrica la quale però, sottolinea Forini, «dovrebbe essere un luogo di cura di passaggio, non di vita»

Il consiglio di stato

‘Più formazione per i medici’

Lo scorso 4 dicembre il Consiglio di Stato ha pubblicato un messaggio governativo relativo alla mozione presentata da Raoul Ghisletta (Ps) e cofirmatari del 14 dicembre 2020 e ripresa da Laura Riget (Ps) dal titolo ‘Un piano d’azione per ridurre il grande numero di ricoveri coatti che sono impropri’. Dal punto di vista numerico vi si legge che in termini percentuali i ricoveri coatti rappresentano stabilmente circa il 37% dei ricoveri presso la Cpc, mentre in termini assoluti è stato registrato un aumento significativo, da 577 nel 2016 a 781 nel 2023, dati che vanno posti in relazione all’incremento dei ricoveri complessivi (da 1’551 a 2’071). Sul piano nazionale, considerando anche le strutture private, nel 2022 ci sono stati 2,07 ricoveri coatti ogni 1’000 abitanti, in Ticino un po’ meno: 1,84 ogni 1’000.

Come evidenziato nel messaggio questi numeri possono essere influenzati dalle modalità di intervento sul territorio. Il governo considera che “sebbene la coazione in alcune situazioni rappresenti l’unica soluzione percorribile, essa non favorisce l’instaurazione di una presa a carico terapeutica fondata sulla fiducia e sull’adesione del paziente a un progetto di cura, aspetti fondamentali per l’efficacia del trattamento”. Pertanto, “è nell’interesse dei curanti ridurre al minimo questo tipo di coercizione”. La sensibilizzazione e la formazione in questo ambito sono fondamentali: “È essenziale prevedere ulteriori opportunità formative ai medici, affinché rimanga alta la consapevolezza che il ricovero coatto in clinica psichiatrica debba essere considerato solo come ultima ratio, dopo aver esaurito tutte le alternative possibili”, afferma il governo, secondo cui in particolare è necessario dare seguito al “supporto specialistico garantito ai Pronto soccorso, da dove provengono il 70% dei ricoveri coatti”.

Tema in Gran Consiglio fra qualche mese

Ricorda poi il Consiglio di Stato che “la mancanza di informazioni fondamentali nel certificato può creare ulteriore disagio per il paziente, che, già in stato di sofferenza, fatica a comprendere e accettare una misura così invasiva, alimentando un senso di insicurezza e sfiducia nei confronti dei curanti”. Mancanza attestata dalla Commissione giuridica Lasp che ha analizzato 469 documenti di cui 184 sono risultati insoddisfacenti quanto all’esposizione dei sintomi e della diagnosi, nessuno riportava inoltre indicazioni sugli obiettivi e la durata presumibile del ricovero così come sulla valutazione di provvedimenti alternativi.

In conclusione, il governo ritiene giustificato accogliere la richiesta dei mozionanti di tornare a includere nel rendiconto annuale del Consiglio di Stato i dati d’attività e le principali valutazioni qualitative sui ricoveri coatti formulate dalla Commissione giuridica. E invita il Parlamento a considerare positivamente evasa la mozione. Il dossier si trova ora sui banchi della Commissione parlamentare sanità e sicurezza sociale: relatrice del rapporto – che entro alcuni mesi dovrebbe essere pronto per approdare al voto in Gran Consiglio – è la deputata dei Verdi Giulia Petralli. Da noi contattato, il direttore dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale, Daniele Intraina, considerando che il messaggio governativo è attualmente pendente in commissione, in questa fase del dibattito rinvia ai contenuti espressi dal Consiglio di Stato.