Bruno Cereghetti punta il dito contro i periti assicurativi, ‘unilateralmente scelti e lautamente pagati’. L'Ufficio Ai: ‘Agiscono in piena indipendenza’
«È estremamente triste dover constatare come nella moderna e civile Svizzera una malattia o un infortunio possano, in pieno Terzo millennio, proiettare una persona nella povertà e rovinarla completamente, non per i costi delle cure medico-sanitarie che vengono coperti dalla LAMal, ma per la mancanza di entrate economiche dovute ad assurde decisioni sull’abilità lavorativa prese da periti assicurativi unilateralmente scelti e pagati dagli assicuratori, ossia da una parte in causa, quindi in assenza totale di terzietà in procedura». Sono diverse nel tempo le persone che trovatesi in simili situazioni si sono rivolte a Bruno Cereghetti, titolare di uno Studio di consulenze e rappresentanze nel settore assicurativo e in ambito sanitario, e fino al 2010 capo dell’Ufficio assicurazione malattie del Dipartimento sanità e socialità (Dss). Situazioni che Cereghetti, continuando le proprie considerazioni, non esita a definire «drammatiche e disumane».
Emblematica è la storia di una persona sua cliente: «È stata buttata giù dall’aereo della protezione sociale senza paracadute», sintetizza Cereghetti. Il caso è quello di una persona di mezza età impiegata in una delle aziende più grandi del Canton Ticino, «una di quelle che vanta gli impianti delle risorse umane all’avanguardia e con lunghe carte dei valori a protezione del personale», dice Cereghetti. «Dopo oltre vent’anni di servizio, la persona – occupata all’80% – si ammala e a seguito di un periodo di convalescenza torna a lavorare al 50%, mentre per il restante 30% rimane in malattia. A un certo punto l’assicuratore malattia dell’azienda, stufo di pagare il 30% delle indennità – dice Cereghetti –, la manda da un proprio perito il quale stabilisce a tavolino che non è più in grado di svolgere il suo lavoro ma che potrebbe praticarne altri più facili a una percentuale superiore. Di conseguenza l’azienda, di punto in bianco, la licenzia e questo nonostante il datore di lavoro fosse molto soddisfatto della sua attività. Data l’età, questa persona non è più riuscita a trovare un impiego e verosimilmente questo non avverrà mai». Nel frattempo, «il suo secondo pilastro, che si immaginava come rendita di vecchiaia, è stato deviato su un conto di libero passaggio, che non frutterà una rendita, ma dovrà essere prelevato al momento del pensionamento e verrà consumato per vivere. Una volta distrutto completamente il frutto di una vita di lavoro, la persona avrà accesso alle prestazioni complementari dello Stato. Mentre per l’immediato, a causa della mancanza di entrate, dovrà far capo all’assistenza sociale, di punto in bianco, quando di certo non se l’aspettava. Si tratta di una devastante umiliazione».
Il fatto di essere assicurati per infortunio e malattia spesso porta i lavoratori a sentirsi completamente tutelati, ma così non è, come mostra la storia esposta da Cereghetti, frutto di un sistema di cui l’ex alto funzionario del Dss da anni denuncia le storture: «Purtroppo nessuno ne parla, nemmeno sul piano politico e men che meno sindacale – lamenta –. Il problema è che il lavoratore che si ritrova malato o infortunato non può competere ad armi pari con l’onnipotenza degli assicuratori. Come emerge per osservazione pratica sul territorio – afferma Cereghetti – gli assicuratori sia sociali che privati hanno stretto dei rapporti molto diretti con un numero molto limitato di periti che hanno un forte interesse ad avere un occhio di riguardo nei confronti di chi paga lautamente queste prestazioni, ovvero gli stessi assicuratori. Se un perito dovesse stendere 4 rapporti su 5 a favore degli assicurati, non riceverebbe più un mandato essendo il suo metro di giudizio controproducente per il disegno assicurativo che è sostanzialmente quello di risparmiare nel quadro delle assicurazioni sociali, rispettivamente di arricchirsi per gli assicuratori privati». Eppure secondo il Consiglio di Stato, come si legge nella risposta (numero 4740) a un’interrogazione del 2014 della ex deputata socialista in Gran Consiglio Pelin Kandemir Bordoli dal titolo “Il Ticino dei (pochi) superperiti Ai”, sarebbero pochi i medici sul territorio disponibili per fare perizie assicurative, soprattutto in certe branche specifiche. «Questo avviene – ribatte l’ex capoufficio dell’assicurazione malattie – perché vogliono i periti confezionati su misura e ci sono dei medici che non sono d’accordo di andare in questa direzione. Ecco perché l’universo è così ristretto. E redditizio».
Il problema a monte della questione secondo Cereghetti sta nella Legge sulla parte generale delle assicurazioni sociali (Lpga) «in cui si situa la madre di tutte le iniquità sociali, ovvero l’articolo 44 che dà la facoltà agli assicuratori sociali di obbligare la persona a essere oggetto di indagine peritale. Indagine nel quadro della quale sono gli assicuratori che in ultima analisi hanno il diritto di impostare le domande precise da porre al perito, determinando una gravissima ingerenza. Non stupisce dunque la grande quantità di risposte peritali impietose nei confronti degli assicurati che improvvisamente sono giudicati incapaci di continuare la loro attività e contemporaneamente capaci di praticarne teoricamente qualche altra, più facile, a percentuali altissime. Come avevo già detto in un intervento in Gran Consiglio quando ero deputato (Ps), le assicurazioni sociali sono dei siti mariani che riabilitano al lavoro orde di persone malate o infortunate. Altro che Medjugorje», commenta sarcasticamente Cereghetti. Se l’articolo l’art. 44 Lpga è la madre di tutte le iniquità sociali, la quinta revisione dell’Assicurazione invalidità per Cereghetti «è stata il peggior inganno che l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas) abbia potuto fare nei confronti della popolazione. Il suo scopo era ben preciso – illustra –: risparmiare nell’ambito dell’Assicurazione invalidità (Ai) diminuendo le uscite, quindi le rendite, con la promessa del reinserimento lavorativo». Il testo, andato in votazione popolare per un referendum, «è stato approvato con l’inganno – ribadisce Cereghetti –. Il contenuto era semplice: meglio inserire qualcuno professionalmente che dargli una rendita: chi non è d’accordo su questo bel principio? Ma la messa in pratica è stata un disastro assoluto».
Per argomentare la propria tesi Cereghetti porta gli esempi del muratore cinquantenne con la schiena a pezzi e della segretaria cinquantacinquenne che va in burnout: «Chi assumerebbe anche in un’altra tipologia di mansioni queste persone? In un mercato del lavoro molto duro come quello odierno, nessuno. Ma ritenerli abili al lavoro è legale perché per la Lpga e per il Tribunale federale i problemi contingenti che ci sono nel mondo professionale non sono affare dell’Assicurazione invalidità o dell’assicurazione Perdita di guadagno per infortunio o malattia, le quali possono permettersi di giudicare l’integrazione sotto un profilo unicamente teorico». All’entrata in vigore della quinta revisione, sostiene Cereghetti, «siccome già si sapeva che le persone non potevano essere reinserite così facilmente, allora c’è stata l’invenzione perversa dell’“annuncio tempestivo”. Significa che appena qualcuno manifesta sintomi di malattia o incapacità al lavoro per infortunio deve essere annunciato all’Ai che apre un fascicolo. Ora, la stragrande maggioranza di queste persone rientra automaticamente nel mondo del lavoro, eppure l’Ai chiude i loro dossier accreditandosi il successo». Per l’ex alto funzionario statale «bisognerebbe seriamente indagare questi rientri per capire quanti siano da attribuire davvero alla politica dell’Assicurazione invalidità». Tornando a coloro che non trovano più un impiego benché giudicati abili al lavoro, si tratta di persone che secondo Cereghetti «vengono praticamente espulse dalle assicurazioni sociali col rischio di cadere in rovina a vita perché a un certo punto devono ricorrere ai servizi dell’Assistenza sociale che non è per nulla attrezzata per essere proattiva nel confronto di situazioni simili. Ma i casi più drammatici riguardano chi ha costruito una propria casa: il valore dell’abitazione considerato come sostanza non consente a queste persone di accedere all’Assistenza, pertanto sono obbligate a vendere la casa per vivere, e non è certo facile o immediato».
La via d’uscita per Cereghetti esiste e passa dalla correzione da parte della politica di due elementi chiave: «Innanzitutto bisogna tener conto di un mercato del lavoro che non è quello equilibrato in cui domanda e offerta si compenetrano in modo idilliaco. In secondo luogo l’articolo 44 Lpga deve essere riformulato nel senso dell’oggettività dando molti più diritti e possibilità agli assicurati che sono la parte amministrativamente ed economicamente più debole. Per evitare che ogni assicuratore abbia dei periti molto condiscendenti a cui garantisce un certo numero di mandati redditizi, come avevo già proposto sul piano nazionale si potrebbe costituire un istituto peritale neutro esterno, finanziato dagli assicuratori ma senza che essi abbiano alcuna influenza sui meccanismi che danno luogo alle perizie». Qual è però il margine di manovra cantonale? «La legge è federale, è vero – conviene Cereghetti – ma l’applicazione avviene all’interno dei cantoni. Già a metà degli anni Ottanta – quando Cereghetti era collaboratore personale del consigliere di Stato Rossano Bervini, responsabile del settore sanitario e sociale –, prima che l’aspetto economicista schiacciasse ogni cosa, il buon senso sociale delle nostre autorità era molto più alto. Ma concretamente, oltre a ciò, i Cantoni potrebbero ergersi a portabandiera di rivendicazioni per un cambiamento sul piano federale nella direzione proposta, come il Ticino ha fatto a suo tempo nell’ambito delle riserve degli assicuratori malattia e della formazione dei premi troppo poco trasparente, temi di cui ora si sta discutendo a livello nazionale». La ricetta per Cereghetti è insomma «meno proclami e meno burocrazia, ma più buon senso e soprattutto recupero del senso sociale».
Ti-Press
Bruno Cereghetti e Monica Maestri Crivelli
«Asserire che la scelta dei periti da parte dell’Ufficio Ai si basi a priori sull’esito della valutazione del caso concreto è non solo scorretto ma pure pretestuoso, poiché insinua, senza fondamento, una mancanza di serietà ed etica professionale dei periti». Così si esprime l’avvocata Monica Maestri Crivelli, a capo dell’Ufficio assicurazione invalidità, a cui abbiamo sottoposto le critiche sollevate da Bruno Cereghetti.
Non esiste dunque un problema relativo ai periti delle assicurazioni sociali che sarebbero una stretta cerchia selezionata su misura e di fatto molto accondiscendente con l’assicuratore per continuare a ricevere mandati lautamente pagati?
Innanzitutto tengo a precisare che il ruolo del perito, che agisce in piena indipendenza, riveste grande importanza per tutte le assicurazioni sociali, ma nelle mie considerazioni faccio riferimento unicamente alla situazione dell’Ufficio Ai, che fa capo a periti per valutare una minima parte delle domande di prestazioni. Infatti unicamente nel 4,4% dei casi dobbiamo richiedere la loro verifica. Fatte queste premesse, va detto che, affinché il cittadino riceva tempestivamente una risposta alla sua domanda di prestazioni Ai, è necessario che vi sia un numero sufficiente di specialisti disponibili a collaborare. Questi svolgono un ruolo importantissimo poiché forniscono una valutazione tecnica indipendente riguardo agli effetti del danno alla salute, esprimendosi in particolare sulla capacità lavorativa e le limitazioni funzionali. Le esigenze di qualità poste ai periti sono molto alte e la litigiosità attorno al tema è abbastanza elevata. Reperire professionisti con esperienza sufficiente e le competenze necessarie nel campo della medicina assicurativa è difficile, non solo in Ticino, ma in tutta la Svizzera, tenuto conto che il numero limitato di specialisti è già molto impegnato dall’attività ordinaria. Non dimentichiamo, inoltre, che essi devono seguire una formazione riconosciuta nell’ambito della medicina assicurativa. Per tutti questi motivi, benché l’Ufficio Ai abbia costantemente promosso e sollecitato la collaborazione dei medici sul territorio, la disponibilità è limitata. Giova, inoltre, precisare che le perizie mono e bidisciplinari sono rimborsate sulla base della tariffa del Tarmed, mentre i centri pluridisciplinari sono vincolati da una convenzione sottoscritta direttamente dall’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas). Tra l’altro le perizie pluridisciplinari e bidisciplinari sono attribuite ai centri peritali o ai periti con un sistema aleatorio tramite una piattaforma elettronica.
L’assicurato non è pertanto in balìa di decisioni prese unilateralmente, senza potersi difendere?
Le affermazioni di Cereghetti non sono corroborate da fatti concreti e oggettivi. La citazione dell’articolo 44 Lpga è alquanto parziale e tralascia completamente la parte che riguarda il diritto di partecipazione dell’assicurato: quest’ultimo, infatti, ha il diritto di contestare il nome del perito qualora vi fossero conflitti di interesse, e, sulla base delle domande peritali dell’Ufficio Ai che sono a lui preliminarmente notificate, porre a sua volta quesiti peritali supplementari. I colloqui tra l’assicurato e il perito sono, inoltre, registrati su supporti audio. La procedura tutela pertanto i diritti dell’assicurato e gli attribuisce un’ampia facoltà di partecipazione, contrariamente a quanto si vuol fare intendere. Ci tengo, comunque, a contestualizzare il ruolo della perizia nell’ambito della procedura di analisi del diritto a prestazioni: come detto in apertura, i mandati peritali rappresentano una minima parte (il 4,4%) degli incarti che l’Ufficio Ai deve verificare. Non costituiscono, pertanto, lo strumento principale utilizzato, ma sono considerati unicamente nel caso in cui non sia possibile in altro modo determinare le conseguenze del problema di salute sulla capacità lavorativa dell’assicurato.
Il tentativo di reinserimento professionale non costituisce una forzatura nei casi in cui, ad esempio, persone di mezza età impossibilitate a praticare la propria professione per motivi di salute vengono ritenute abili a svolgerne altre, con mansioni ‘più facili’, che nella realtà del mercato del lavoro sono però loro inaccessibili (ci si può chiedere chi assumerebbe ad esempio un cinquantenne), attuando così uno scaricabarile verso l’assistenza sociale a fini di risparmio?
La reintegrazione professionale è la priorità dell’Assicurazione invalidità ed è pensata per valorizzare le capacità residue delle persone e offrir loro l’opportunità di continuare a essere indipendenti economicamente e avere una vita dignitosa. Questo approccio aiuta le persone a ritrovare il proprio ruolo nel mercato del lavoro compatibilmente con le loro capacità e risorse. Anche se, in alcuni casi, gli ultracinquantenni possono incontrare maggiori difficoltà, considerare questi assicurati a priori non reintegrabili a causa dell’età perpetua il pregiudizio. Gli sforzi dell’Assicurazione invalidità mirano a superare queste barriere, sensibilizzando i datori di lavoro e supportando la reintegrazione professionale. Grazie a questo lavoro di rete con le aziende, gli assicurati possono rientrare nel mondo lavorativo mantenendo il proprio posto di lavoro o tramite una nuova assunzione grazie al sostegno dell’Ufficio Ai. Sono intorno alle 1’300 le persone che ogni anno si riesce a collocare. Parlare di mansioni “più facili” significa banalizzare gli sforzi che i nostri assicurati dedicano per acquisire nuove competenze per essere in grado di svolgere un’altra attività. Grazie alle misure messe in atto previste dalla legge, riusciamo a raggiungere risultati importanti. Solo nel 2023 sono state concesse più di 4’000 misure reintegrative.
Qual è la differenza tra collocamenti e misure reintegrative?
Le misure reintegrative sono volte a favorire il reinserimento delle persone nel mercato del lavoro e la possibilità della loro messa in atto viene esaminata ogni volta che l’Ufficio Ai riceve una domanda di prestazioni; possono essere riformazioni professionali, aiuto al collocamento, misure di reinserimento, prime formazioni. A queste si aggiungono le misure di intervento tempestivo che sono applicate immediatamente dopo la domanda di prestazione, con lo scopo di mantenere il posto di lavoro laddove ancora esistente. Le persone che si riesce a collocare sono coloro che dopo una domanda di prestazioni, e grazie a un coinvolgimento dell’Ufficio Ai, hanno trovato un nuovo posto di lavoro oppure l’hanno potuto mantenere.
Quindi nell’ambito delle comunicazioni tempestive non vengono conteggiati come successi dell’Ai anche i rientri al lavoro che avverrebbero naturalmente?
Il rilevamento tempestivo ha lo scopo di far intervenire l’Ufficio Ai precocemente ed evitare che l’assicurato perda il posto di lavoro a seguito del danno alla salute. È utilizzato mediamente per 280 casi all’anno, quindi non permette di sicuro di avere funzione di cosmesi contabile come indicato da Cereghetti. Non si tratta di una domanda vera e propria, ma permette di entrare in contatto al più presto con situazioni a rischio di invalidità. Nell’83% delle segnalazioni, l’Ufficio Ai ha raccomandato di depositare una domanda di prestazioni. Si tratta di una quantità minima rispetto alle domande di prestazioni Ai, che si aggirano intorno alle 11’000 all’anno, di cui quasi 4’000 sono domande presentate per la prima volta da assicurati.
Il sistema funziona bene così com’è o ci sono degli aspetti che sarebbe auspicabile cambiare?
Il sistema è in continua evoluzione e negli anni ha subìto cambiamenti. Creare facilitazioni supplementari per i datori di lavoro che assumono o mantengono attivi dipendenti con problemi di salute potrebbe essere una strada percorribile.
Dati: Ufficio Ai Canton Ticino / Foto Ti-Press / Infografica laRegione