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Maggio 1974, quella primavera di rivolta che lasciò il segno

Immagini, suoni e documenti per ricordare la rivolta studentesca e la mobilitazione dei liceali in Ticino fra marzo e maggio di 50 anni fa

Sabato prossimo al Cpt di Trevano si terrà l’evento di ricordo ‘Ben venga maggio’

Immagini, suoni e documenti per ricordare la rivolta studentesca e la mobilitazione dei liceali in Ticino fra marzo e maggio di 50 anni fa

16 maggio 2024
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Mezzo secolo, un’eternità. Dentro un tempo sempre più a breve termine, chiuso in un presente senza prospettiva, senza profondità storica, capita di ritrovarsi d’un tratto in una stagione, come quella attuale, in cui il mondo studentesco è tornato prepotentemente a manifestare in piazza e ad occupare sedi universitarie anche in Svizzera. Così, riemerge dalla memoria un passato che anche in Ticino, nel nome di “impegno”, “ribellione”, “rivolta”, trovava negli studenti un moto che metteva insieme ansie, aspirazioni ed una forte contrapposizione verso quello che era sentito come “sistema” ingiusto e repressivo.

Certo, erano allora passati pochi anni dal “famigerato” ’68, da quel movimento innovatore straordinario che ha avuto nel maggio francese e nella battaglia di studenti e lavoratori un po’ in tutto l’Occidente un culmine che si è esteso anche nella nostra provincia, con le manifestazioni e l’occupazione dell’Aula 20 alla Scuola Magistrale di Locarno nel marzo del 1968. Un primo momento di forte mobilitazione che a poco a poco si è attenuato, ma non si è spento. Sotto la brace ancora covava, dopo pochi anni, quell’ansia di progettare e sviluppare un modello di società diverso, aperto anche alla forte partecipazione solidale nei confronti delle vittime di un mondo che non aveva smesso, anche dopo vent’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, di infliggere altri conflitti, altre sofferenze, dal Vietnam al Cile.

In quello che era rimasto il luogo di una certa “élite” studentesca, qual era il Liceo di Lugano, allora ancora l’unico del cantone, il fermento si è via via coagulato nell’azione del “Movimento studentesco”, che ha saputo riunire sensibilità e orientamenti diversi in una serie di momenti di riflessione anche convulsi, contraddittori, ambiziosi, tesi a voler perseguire un concreto cambiamento di paradigma, anzitutto dell’istituzione scolastica così com’era intesa fino ad allora.

Fra il marzo e il maggio del 1974 il Liceo di Lugano è in ebollizione, gli studenti occupano scale, aule, corridoi, per scioperi e manifestazioni sempre più frequentati e condivisi anche oltre i cancelli di viale Cattaneo. Quell’effervescenza fu appunto il risultato dell’azione, nei mesi precedenti, del Movimento studentesco, che alla fine si focalizzò nella richiesta di abolizione del controllo delle assenze dalle lezioni, ritenuta una manifestazione dell’autoritarismo della scuola e della famiglia.

La mattina del 22 marzo i registri delle assenze furono sottratti da un gruppo di studenti: un gesto di sfida, per dire no al controllo “autoritario” del sistema scolastico, ma in fondo per opporsi a una logica di promozione sociale, attraverso una scuola ormai vecchia e chiusa su sé stessa, che in quei primi cruciali anni di democratizzazione (o massificazione) degli studi era vissuta come puro specchio di un meccanismo di promozione sociale che andava combattuto.

Per reazione la Direzione del Liceo convocò tutti gli studenti in Aula Magna; ma l’incontro, come era prevedibile, da momento di reprimenda nei confronti dei membri del Movimento studentesco si trasformò in assemblea di protesta degli studenti. La rivolta era iniziata e raggiunse il suo apice nel mese di maggio, ancora una volta come reazione a un gesto repressivo della Direzione dell’Istituto: la sospensione di due studenti impegnati nella lotta.

Un momento di crescita della sensibilità politica e sociale

Quella primavera di rivolta lasciò certamente il segno perché mai prima di allora, e come allora, l’adesione alle manifestazioni e ai cortei fu tanto partecipata quanto temuta dal governo e dagli organi di polizia mandati, a un certo punto, il 17 maggio, a “sgomberare” l’Istituto. Dopo di allora la politica fu costretta a “fare i conti” con una realtà antagonista studentesca (e poi degli apprendisti) che chiedeva di essere riconosciuta come interlocutore e artefice di nuovi programmi e progetti. La scuola non fu più la stessa, perché anche dentro il mondo degli insegnanti stava cambiando la percezione del proprio ruolo e veniva maturando la concezione di un diverso funzionamento del corso di studi.

In tanti, forse in tutti i suoi più diversi aspetti, quello della primavera del ’74 rimane un momento di “crescita” della sensibilità politica e sociale di molti studenti, insegnanti, e delle numerose famiglie che vissero direttamente o indirettamente quell’esperienza, nell’aperto sostegno come nello sdegnato dissenso. Un momento che, ripescato oggi dentro qualche documento d’archivio, o nella memoria di chi, dopo mezzo secolo, ancora si ricorda di quei giorni, di quelle settimane, appare forse ancora capace di parlare all’oggi di una generazione di giovani spaesati e in cerca di identità e di futuro.

È vero, le differenze sono molte, perché questi 50 anni sono davvero passati e il mondo è cambiato. Ma certi meccanismi di relazioni sociali, dentro e fuori la scuola, ancora resistono e per molti versi si sono ulteriormente aggravati nella loro condizione di focolai d’ingiustizie, di prevaricazioni.

Forse è questo uno dei motivi importanti per cui vale la pena tornare a pensare a quell’esperienza, ed è per questo che a Trevano sabato 18 maggio a partire dalle 16.30 si svolgerà un evento specifico in ricordo di quei fatti, di quella rivolta. Non un evento nostalgico, ma il tentativo di rileggere un’esperienza e raccontarla per quel che oggi ancora può valere e contare. In una serie di brevi interventi, di immagini d’epoca, di testimonianze dei protagonisti di allora, si cercherà ancora di “parlare” e confrontarsi senza alcuna pretesa di esemplarità. Anzi, sarà pure l’occasione per dare all’evento la possibilità di trasformarsi in una vera e propria festa musicale. Perché quei primi anni 70 hanno avuto anche un suono che è rimasto a segnare un’epoca e che ancora oggi dà conto di una irrefrenabile voglia di nuovo e diverso.

La testimonianza/1

Una mattina...

di Virginio Pedroni

Come gli altri giovani coinvolti nelle agitazioni studentesche della primavera del 1974, appartenevo a una generazione che aveva mancato di qualche anno le rivolte del Sessantotto: per alcuni di noi un imperdonabile ritardo. Comunque, l’onda lunga di quei moti era ancora percepibile. L’idea di un’iniziativa collettiva dal basso per un cambiamento della scuola e della società in senso radicalmente egualitario rimaneva nell’aria, declinazione politica di sinistra di una generale fiducia nel futuro. Oggi si sono perse sia quella volontà di eguaglianza, sia quella fiducia: forse le due cose non possono essere separate.

Arrivare a scuola una mattina di marzo molto soleggiata e venire a sapere che i registri delle assenze erano spariti, le lezioni sospese, gli studenti convocati dalla Direzione in Aula Magna, fu come sentire che un’occasione per agire era forse giunta anche per noi. Io avevo partecipato ad alcune attività del Movimento studentesco, ma fino ad allora non ero certo stato in prima fila. La mia iniziale formazione politica era rimasta un fatto prevalentemente interiore e teorico, dunque non ancora veramente “politico” se, come dice Hannah Arendt, la politica nasce non nell’Uomo, ma fra gli uomini. Eccomi finalmente lì, quella mattina, fra i miei compagni.

Agire insieme nel contesto di un’insorgenza è come cavalcare un’onda dai moti imprevedibili: è una condizione entusiasmante ma anche precaria, a volte ansiogena e sempre effimera. Poi viene il momento del giudizio retrospettivo, delle correzioni di tiro, della gestione dell’ordinario e delle auspicate ripartenze. Ma per due mesi il tempo fu, per molti di noi, come sospeso: avevamo le nostre ragioni, i nostri obiettivi (l’abolizione del controllo delle assenze, cui poi si aggiunse la rivendicazione del riconoscimento istituzionale dell’assemblea degli studenti), i nostri nemici (la Direzione del Liceo, il Consiglio di Stato), una certa, non sempre malevola, attenzione della stampa; infine arrivarono anche i nostri “martiri” (due compagni sospesi come misura punitiva) e addirittura lo sgombero di un’assemblea da parte della polizia. Non mancava nulla per sentirci in marcia. Una marcia che culminò nella manifestazione del 18 maggio per le strade di Lugano, dopo la quale i due studenti sospesi furono reintegrati, il controllo delle assenze abolito, il direttore del Liceo allontanato, l’assemblea degli studenti riconosciuta. Vittoria, insomma.

Naturalmente, in seguito, non vissero tutti felici e contenti, ma per qualcuno di noi, forse per parecchi, quella fu una straordinaria esperienza di impegno e partecipazione. Ci eravamo pure montati un po’ la testa, ma perché no?

La testimonianza/2

Un altro mondo è (ancora) possibile

di Giuseppe Sergi

Nella narrazione storico-politica gli anni 70 sono ricordati come “gli anni di piombo”, segnati dal terrorismo. Eppure, fu un periodo gioioso e straordinario, di grandi mobilitazioni, di speranze, sorretto dalla convinzione che “un altro mondo” fosse possibile.

Le lotte studentesche, con epicentro il Liceo di Lugano ma estese ad altre scuole superiori del cantone, non furono un fenomeno isolato. Gli apprendisti e gli “studenti-apprendisti” della Magistrale si mobilitarono, preoccupati per il loro futuro professionale. Per molti di noi quegli anni rappresentarono un momento cruciale della nostra formazione politica e umana, animati dalla convinzione del “primato della politica” da far valere persino nelle scelte individuali più piccole.

Ci sospingeva un’impazienza di fondo che confondeva l’“attualità della rivoluzione”, la convinzione che una trasformazione radicale della società fosse all’ordine del giorno da un punto di vista storico, con l’“imminenza” della rivoluzione, cioè l’idea che questa grande trasformazione fosse vicinissima.

Gli eventi storici di quegli anni, come il risveglio della rivoluzione anticoloniale e antimperialista nel “Sud” del mondo, la contestazione dell’eredità staliniana nei Paesi dell’Est e la grande stagione delle lotte operaie nei Paesi capitalistici avanzati, sembravano confermare quella convinzione. Gli elementi di contestazione politica, sociale e culturale ereditati dal ’68 ci spronavano a mettere sistematicamente in discussione le istituzioni capitalistiche: scuola, famiglia, esercito, con il loro bagaglio di condizionamenti e repressione.

La fine degli anni 70 segnò l’inizio della controffensiva politica e sociale neoliberale, con la Thatcher e Reagan saliti al potere, che condusse, nei decenni successivi, alla sconfitta del movimento operaio e dei suoi partiti. Nonostante questa sconfitta, molti di noi non hanno abbandonato quelle convinzioni di fondo, soprattutto perché il capitalismo reale ha continuato a mostrare, e sta tuttora dimostrando, quanto sia disumano, iniquo, feroce e distruttivo.

Abbiamo dovuto adattare la nostra impazienza, ma non abbiamo rinunciato all’idea di trasformare radicalmente il mondo. Il nostro impegno è diventato una “lenta impazienza” per usare le parole di Daniel Bensaïd e “il dubbio riguarda la possibilità di riuscirvi, non la necessità di tentare di farlo”.