In vista del voto

Rffa: sgravi, impieghi, salari… e tanta ipocrisia

19 aprile 2019
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“Bisogna concedere sgravi solo alle aziende virtuose”: vecchio ritornello che sfoderano periodicamente rappresentanti di quei partiti che hanno sostenuto tutte le riforma fiscali passate, che di qualitativo non avevano proprio nulla. E c’è da scommettere che sosterranno anche la Riforma fiscale sul finanziamento dell’Avs (Rffa) in votazione il prossimo 19 maggio, promettendo esattamente le stesse cose che non si sono poi mai avverate.

Ci diranno: gli sgravi previsti favoriscono le attività di ricerca e sviluppo, garantiscono posti di lavoro qualificati e salari dignitosi. In realtà la Rffa non garantisce per nulla che i soldi risparmiati con gli sgravi verranno reinvestiti in loco o vadano a beneficio dei dipendenti.

Prendiamo l’esempio di Roche o Novartis. Sono le aziende che più investono in ricerca e sviluppo, generano utili miliardari e hanno i manager più pagati d’Europa. Già oggi possono dedurre dalla imposte la totalità delle spese di ricerca e sviluppo (non dimentichiamo che queste industrie riversano più della metà degli utili in dividendi, meno della metà invece sono investiti nella ricerca). In futuro potranno sgravare una volta e mezzo questi costi, quindi detrarranno anche spese mai sostenute. Un volta ottenuto il brevetto per un farmaco, su ogni 100 franchi guadagnati pagheranno le imposte solo su 10 franchi. Sono quindi milioni di entrate in meno per le casse pubbliche senza nessuna garanzia che ciò gioverà alla maggioranza della popolazione, anzi!

I sostenitori della Rffa ci diranno: grazie a questi sgravi si svilupperanno farmaci di vitale importanza che salveranno vite. Certo, ma quali vite e a che prezzo? Negli ultimi anni la spesa per i farmaci è esplosa e ci sono cure che costano anche 150-160’000 franchi per paziente l’anno. Sono prezzi che nulla hanno a che vedere con i costi di produzione e ricerca: un flacone dell’antitumorale Herceptin costa circa 50 franchi, ma viene venduto in Svizzera a 2’095 franchi con un margine di guadagno dell’85% per Roche. Il Glivec della Novartis ha un prezzo pari a 86 volte il costo di produzione, secondo una recente inchiesta della Rts. I prezzi non vengono fissati in base agli investimenti, ma ai “benefici che procurano ai pazienti e alla società nel suo complesso", ha detto una portavoce di Roche senza precisare cosa ci sia di “benefico” nel fatto di metter a rischio l’intero sistema sanitario nazionale per garantirsi margini di guadagno da capogiro. A lungo termine solo i ricchi potranno pagarsi questi farmaci. Altro che vantaggi per “la società nel suo complesso”!

Nemmeno la promessa di posti di lavoro regge: basti pensare che Novartis l’anno scorso ha realizzato un utile netto di oltre 12 miliardi e ha comunque annunciato il taglio di oltre 2’000 posti di lavoro in Svizzera, fra cui anche alcuni a Locarno. Sostenere che i soldi risparmiati con gli sgravi verranno utilizzati per migliorare i salari è una vecchia bufala, già sfoderata in occasione della Riforma II della fiscalità delle imprese. Dal 2008 in realtà i salari in Ticino sono calati in molti settori, la disoccupazione è aumentata e il precariato si è esteso e continua ad estendersi a macchia d’olio. Il salario mediano nell’industria farmaceutica da noi è del 47% inferiore alla media nazionale e il divario è aumentato negli anni. In Ticino ci sono ingegneri farmaceutici pagati 3’500 lordi, un salario che non permette di vivere in questo Cantone. Quella “crescita impressionante” dell’economia ticinese che ci ha descritto il recente studio del Bak Basel è andata a beneficio di pochi e né gli sgravi né l’imposizione ridotta degli utili da brevetti cambieranno le cose. La Medacta, che secondo l’istituto basilese è una delle aziende ticinesi con il maggior numero di brevetti, paga 2’250 franchi netti un ingegnere uscito dal Politecnico di Milano e ha utilizzato i “risparmi” realizzati negli ultimi anni per entrare in borsa. Entrata che ha fruttato al suo proprietario un gruzzolo di diverse centinaia di milioni sui quali non pagherà nemmeno un centesimo di imposta. In futuro quindi continuerà a impiegare personale a salari discount per distribuire dividendi agli azionisti.

Ricerca e innovazione non sono sinonimi di posti di lavoro di qualità e di salari dignitosi e concedere sgravi alle aziende non significa favorire l’occupazione e il benessere generale. Con la precedente riforma, la Riforma II della fiscalità delle imprese, gli unici ad averci guadagnato sono le grandi aziende e gli azionisti, lo ha confermato pure la Seco, che è arrivata a questa conclusione: i salari dei lavoratori sono al palo; c’era da aspettarselo, aggiungiamo noi.

Non facciamoci imbrogliare un’altra volta, votiamo No alla Rffa il 19 maggio.

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