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Palestina… e adesso?

Martino Rossi (apparso su laRegione il 24.1.25) ci rimette sotto gli occhi il peccato originale dello stato di Israele, cioè il progetto sionista di conquistare tutta la Palestina. L’articolista ci illustra questo cammino con le parole di Ilan Pappé, che lo definisce come colonialismo d’insediamento, perché mira a sostituirsi alla popolazione indigena. Ciò implica la necessità di espellerla o eliminarla.

Mentre apprezzo le tesi storiche di Pappé, mi lascia molto perplesso la sua opinione riguardante il futuro della regione. L’idea di uno stato unico per Ebrei e Palestinesi è un sogno realizzabile in un tempo di là da venire. Esso suona però del tutto irrealistico alla luce della situazione attuale.

Prima di pensare al futuro, occorre darsi da fare per sbloccare lo stato di cose presente. Ora, a questo proposito ci sono sul tappeto alcune vecchie questioni che urlano di essere risolte: il muro di separazione, il ritorno dei profughi, l’espulsione dei coloni e il blocco di Gaza. Si tratta “semplicemente” di far rispettare il diritto internazionale e le decisioni dell’ONU al riguardo. Tutti i principali governi mondiali affermano di sostenere queste decisioni e intendono iniziare a concretizzarle con la creazione dello Stato di Palestina.

Purtroppo, alle parole non seguono fatti concreti cioè interventi energici verso Israele per obbligarlo al rispetto dei diritti, per esempio sanzioni e boicottaggio a tutto campo. L’istituzione dello stato palestinese s’impone nell’ottica storica e politica e come semplice atto di giustizia: quale popolo sottoposto a una lunga e feroce sottomissione coloniale, i Palestinesi hanno tutti i diritti di liberarsene e, finalmente, di autodeterminarsi.