Il 29 gennaio 2025 il Consiglio federale ha deciso di porre fine alle adozioni internazionali. Tale provvedimento è frutto di superficialità disarmante: vietarle anziché rafforzarne i controlli.
Affermare che il divieto sia la soluzione per contrastare l’illegalità equivale a una resa incondizionata. Negli ultimi anni, grazie anche all’adempimento della Convenzione dell’Aia, il sistema è stato sottoposto a controlli sempre più rigorosi, portando a una drastica riduzione del numero di adozioni, passate da 335 nel 2006 a 19 nel 2023, privilegiando quelle interne al paese e riducendo gli abusi. Giuridicamente, dunque, questa privazione della libertà individuale non è giustificata.
L’adozione è un atto di amore e responsabilità nei confronti di un bambino in condizioni precarie. La decisione presa, tuttavia, non tutela i bambini, ma li priva a priori dell’opportunità di avere una famiglia.
Inoltre, la proibizione rappresenta un incentivo indiretto al ricorso a pratiche di procreazione assistita eticamente controverse, per esempio la maternità surrogata, oppure a trasferirsi in una nazione limitrofa per completare il processo di adozione. Ciò evidenzia non solo l’inefficacia della misura, ma anche il rischio di spingere le famiglie a cercare soluzioni alternative al di fuori del contesto normativo svizzero.
Se davvero i divieti fossero l’unico strumento di tutela, bisognerebbe allora proibire anche la vendita di tabacco o vietare ai giovani l’uso dei social media, considerati i potenziali effetti dannosi. È evidente, dunque, che questa logica proibizionista sia incoerente e controproducente. Infatti, anziché proteggere i più deboli, li condanna all’abbandono e, al contempo, ignora l’impatto psicologico sulle persone già adottate, le quali non possono che sentirsi inadeguate.