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Il ritorno dell’uomo forte

Diceva già 500 anni fa il popolare riformatore Lutero: “Il popolo, quando una situazione non va più, vuole cambiare. Non interessa come. Basta cambiare. E quando anche questo cambiamento non va, che si cambi di nuovo, non interessa come”. A voi non viene in mente la parola “branco”? Intanto tra i cittadini comuni la lotta quotidiana di sopraffazione si è spostata dai pugni alla parola. Il più forte impone il silenzio all’altro, con verità intere, mezze o con falsità grossolanamente inventate, ma facilmente condivise perché convenienti. Questa prepotenza gli lascia un attimo di benessere psicologico, quanto basta per salvarsi l’autostima per la giornata. Domani dovrà inventarsi qualcos’altro, come identificarsi con un “uomo forte”, respirandone la potenza, e ne trarrà piacere. Per il resto rimarrà il sottomesso di sempre. Peccato che questo gioco con l’autostima finisca per tradursi anche in voti o in atti violenti. Il pensiero corto di tanti intellettuali termina laddove dice che la virata politica a destra è causata dalle difficoltà economiche sentite dalla popolazione. Ho imparato nel Terzo Mondo che l’autostima viene prima dello stomaco pieno, perché questo si riempie solo se si ha la forza di credere nel futuro sapersi organizzare per sopravvivere. D’altronde a quei criceti, i quali venivano continuamente stimolati nel centro cerebrale del piacere quando correvano nella ruota, non interessava più andare a mangiare e morivano. L’orgia di autostima prestata dal nazismo, per esempio, così unificante, ha poi trascinato i suoi entusiasti sostenitori alla guerra, dei quali tanti sono tornati senza mani, senza gambe, con la faccia spappolata, in ogni caso senza più idoli dispensatori di forza e afflitti dall’infinita vergogna per esser caduti così stupidamente in trappola.