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Parole al Ventotene

(Keystone)
25 marzo 2025
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Parlare di Europa oggi è davvero una missione quasi impossibile. In verità tutti la evocano, tutti la brandiscono, la rivendicano, la richiamano e ci ricamano, ormai come un mantra, in relazione al fatto che mai come ora l’Europa è messa in un angolo, con un certo esibito disprezzo, da quello che è stato per decenni una sorta di “santo protettore”: parliamo ovviamente di quell’America (del Nord, beninteso) che esattamente 80 anni fa l’Europa l’aveva “liberata” dall’agghiacciante morsa del nazi-fascismo e che da allora, fra Piano Marshall, Nato e alleanza atlantica si è mostrata così generosa nel proteggerci e nel regalarci sogni di benessere eterno, attraverso l’esportazione e imposizione di un modello socio-economico che da liberale è diventato ultraliberista. E ora stiamo a fare i conti con il ritorno del campione di tanto cinismo, The Donald, carico come una molla per le infinite promesse fatte ai propri elettori in manco di fiducia e di sogni (americani, appunto) di grandezza e ricchezza, e via con una sventagliata di misure protezionistiche condivise con l’inquietante ma significativo appoggio dei paperoni del pianeta.

Così, ‘Make America Great Again’ è rapidamente diventato il motto dentro cui si nasconde anche un totale cambio di rotta nei rapporti con l’Europa, certificato in mondovisione con l’agguato al presidente ucraino Zelensky nello Studio Ovale e poi con le successive dichiarazioni di Trump tutte volte a considerare come interlocutore esclusivo lo zar russo, a ritenere degna di interesse l’Ucraina solo per le sue terre rare, a fregarsene totalmente di quel che dice e che fa (o non fa) l’Europa. Improvvisamente a Bruxelles ci si è accorti di star seduti in un contesto e un consesso “fuori dal mondo”, concentrato nella composizione inesausta di particolarismi nazionali regolati da un meccanismo sostanzialmente burocratico, quello in cui consiste l’Ue, che mostra tutte le sue drammatiche debolezze nell’incapacità di avere una sola valida alternativa da opporre alla volgare politica del più forte impugnata dal presidente degli Stati Uniti.

Plastico esempio di questa sconvolgente inconsistenza europea, (tralasciando l’assenza di tracce di Svizzera) è il ruolo che sta avendo l’Italia, fra i Paesi fondatori dell’Unione, cui si deve (o si dovrebbe) anche un documento capitale di prefigurazione di una federazione europea qual è stato il Manifesto di Ventotene, ideato e redatto nel 1941 al confino da tre grandi personalità dell’antifascismo come Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi. Un testo “visionario”, se si vuole, che dopo oltre 80 anni dalla sua prima diffusione (e, diciamolo, dopo decenni in cui pareva finito nel dimenticatoio) torna ora a far discutere e soprattutto litigare. Sì perché in mancanza d’altro, e soprattutto senza uno straccio di progetto alternativo di “Europa” da mettere sul tavolo di fronte alla protervia dei due autocrati (Trump e Putin) improvvisamente in (apparente) sintonia, dalle istituzioni europee non arriva niente di meglio che un piano di riarmo da 800 miliardi dei 27 Paesi aderenti all’Unione (ognuno per suo conto, naturalmente, perché un progetto di “difesa comune” non c’è). Ma dall’Italia giunge anche l’idea di “recuperare” il Manifesto per provare a ridare senso a un’idea di Europa che oggi nessuno riesce a capire cosa debba o possa essere.

A Roma, recentemente, si è tenuto un evento, ‘Una piazza per l’Europa’, promosso dal giornalista Michele Serra, che ha avuto un grande seguito e in cui sono riecheggiate più volte le parole scritte a Ventotene. Naturalmente, per l’occasione, tutta la destra di governo se n’è rimasta a casa, così come i populisti pentastellati di Conte e del suo megafono giornalistico Marco Travaglio. Un’idea di Europa come luogo in cui si sono storicamente affermati alcuni principi, a cominciare da quelli che stanno alla base di un ordinamento democratico (che ora vediamo negati non solo in Russia ma anche negli Stati Uniti) ha rappresentato per qualche ora, in Piazza del Popolo, il collante per la partecipazione di decine di migliaia di persone a un’iniziativa né pro né contro il riarmo, ma certamente a favore della pace in Ucraina (e, perché no, pure nella martoriata Palestina).

Anche Roberto Benigni, in una serata evento televisiva, ha dedicato al Manifesto di Ventotene un suo lungo e accorato monologo. Ma intanto, a Montecitorio, ci ha pensato la premier a buttare tutto in caciara, andando a piluccare qua e là qualche brano del Manifesto stesso, per dirne il peggio, perché in quel testo si parla anche di rivoluzione e di socialismo. Uno spettacolo disgustoso offerto da un(a) premier alla vigilia dell’annuncio della decisione del proprio Paese (anzi, della propria nazione) in merito alla posizione europea sul sostegno armato all’Ucraina. Parole al vento finite in premeditata tempesta, come al solito, in barba alla storia e alla civiltà di un continente che tristemente non sa darsi un’identità, nemmeno nel riconoscimento della propria storia. Di che far gongolare lo zar e lo sceriffo.