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Il teatrino di Donald

La recente messinscena di Trump ai danni dell’Ucraina e di Zelensky rappresenta il culmine di un’azione evidentemente pianificata che parte da lontano, fondata sull’accettazione di una spartizione del mondo tra Russia e Usa, finalizzata da un lato a mettere la Cina nell’angolo, e dall’altro a fare piazza pulita dell’Unione europea, che appare essere un fragile vaso di coccio in mezzo a due vasi di piombo. Tuttavia, pur alla luce di queste considerazioni, nell’appoggio di Trump a Putin non tutti i conti tornano. Infatti, se da una parte esso mostra di essere il risultato di una ben precisa strategia, che ha avuto diverse fasi (camuffamento durante la campagna elettorale, nel corso della quale la figura di Putin è stata evocata solo marginalmente, finte minacce da parte di Trump dopo l’elezione, e appoggio con alcune ambiguità nel momento attuale), dall’altra non si capisce come mai Trump voglia condurre gli Usa a rinunciare ad un caposaldo della politica estera a stelle e strisce, ossia l’espansione dell’influenza dello zio Sam a Est dopo la caduta del muro di Berlino, alimentata da sempre da una profonda avversione del cittadino medio americano nei confronti della Russia, sia nella sua forma sovietica, sia in quella attuale. Questa giravolta avviene inoltre in un momento in cui, al di là dei successi militari sul terreno, le sanzioni paiono infine avere qualche effetto rilevante sul sistema-paese Russia. L’impressione è quella di assistere ad uno sgangherato e sconclusionato western in cui i cattivi diventano inopinatamente buoni, e alla fine “arrivano i nostri”, i quali, però, al posto di soccorrere le vittime, salvano i banditi, togliendo nella fattispecie le proverbiali castagne dal fuoco a Putin. Né tantomeno il sostegno al dittatore è spiegabile da un punto di vista economico, visto che attualmente, a causa delle sanzioni, l’Europa rimpiazza il gas russo con quello ben più caro proveniente dagli Usa. Per di più Putin appare essere una “fissa” di Trump già dal suo precedente governo. Queste considerazioni danno la sensazione che, alla base dell’appoggio trumpiano a Mosca vi sia qualcosa di più, qualcosa di sottaciuto. Qualcosa che aiuti a spiegare in modo più convincente questa apparentemente estemporanea alleanza tra il tycoon americano e il dittatore russo: al puzzle mancano, insomma, alcuni pezzi.

Nei fatti, a ben vedere, questa sensazione di trovarci confrontati con la punta di un iceberg non è del tutto sorprendente, se si tiene conto del fatto che Putin è stato per anni un agente del Kgb, e che quindi ha una notevole pratica nel nascondere ed utilizzare a proprio favore fatti ed informazioni determinanti. Rimanendo sul piano delle ipotesi, una prima supposizione potrebbe essere che il dittatore russo disponga di informazioni-chiave che gli permettono di condizionare la politica estera americana. Si tratta di un interrogativo che si pone ad esempio Mark Trevelyan in un articolo scritto per la Reuters. Alla luce delle modalità non sempre del tutto cristalline dell’azione politica ed economica trumpiana, tale ipotesi non risulta essere del tutto peregrina, anche se, allo stato attuale, non paiono esservi elementi concreti in grado di suffragarla.

Vi è poi la possibilità che Putin e Trump (come Orbán, Milei e altri) non siano semplicemente esponenti di un’ondata politica conservatrice-reazionaria che “casualmente” interessa alcuni Paesi, ma che alla base di tale ondata vi sia una ben precisa organizzazione “sotterranea”, che mira strategicamente ad esercitare un’influenza a livello planetario, se teniamo conto ad esempio delle capacità di controllo che le nuove tecnologie offrono. Uno degli elementi a sostegno di questa seconda ipotesi sono le azioni e le dichiarazioni di Elon Musk. In effetti, vari elementi concorrono a corroborare la presenza di quella che si potrebbe definire come una “galassia occulta filo-sovranista”, contraddistinta da una strategia in cui l’innovazione tecnologica di punta si combina con un programma politico paleo-conservatore. I pochi fatti noti permettono comunque di inferire che si tratterebbe di una federazione multidimensionale di organizzazioni di vario tipo legate da una visione generale analoga, ma con un carattere operativo per così dire “a geometria variabile” rispetto alle reciproche differenze, situazioni e necessità particolari. Interrogato rispetto ad una simile struttura, Deep Seek (chatbot di intelligenza artificiale) risponde che “potrebbe includere gruppi politici non ufficiali, think thank e centri studi, media e influencer, reti internazionali, lobby e gruppi di pressione”: tutti elementi che trovano corrispondenza ad esempio in uno studio della Friedrich Ebert Stiftung (una fondazione della Spd) dal titolo The Global Radical Right. Tale studio mette in luce in modo evidente che tra “regioni” e livelli di tale galassia sussistono rapporti di mutuo sostegno, oltreché di consonanza politica. Forse, situando il comportamento di Trump entro un simile quadro, con il supporto di nuove e più stringenti evidenze, si arriverebbe a meglio capire il suo sfacciato favoritismo per la Russia putiniana.