A trent’anni dalla chiusura, la Monteforno continua a suscitare ricordi e sentimenti contrastanti. Ricordiamo la fabbrica che ha creato molto reddito, ma che ha anche tollerato mangerie e tanto fumo. Percepiamo i sentimenti di appartenenza e di orgoglio che ancora oggi sono espressi dagli operai di quel tempo – operai che però erano quotidianamente confrontati con gravi rischi per la loro salute e incolumità. Oggigiorno, il capannone ex Monteforno, con la sua imponenza, rappresenta una tangibile testimonianza di una fabbrica che all’apice del suo sviluppo occupava più di mille operai. Nel contempo, ci mette davanti ad una triste realtà: la mancata riconversione, l’abbandono, la decadenza. Chi ricorda la vita all’interno del capannone, lo sfaccendare degli operai, i movimenti dei macchinari, i rumori e i boati, le colate e i lingotti di acciaio rosso-roventi che si trasformavano in tondini, non può che provare un senso di smarrimento e di amarezza osservando il vuoto e il silenzio attuali.
Il capannone ex Monteforno non può essere abbandonato al suo destino per altri trent’anni. La proposta del Cantone di creare un Polo di Sviluppo Economico (Pse), comprendente tutta la zona industriale, si è dimostrata uno “specchietto per allodole”. Fu immaginata dal Gran Consiglio e confermata dal Consiglio di Stato all’indomani della decisione di insediare le Officine Ffs nella zona agricola di Castione, invece di valorizzare l’area industriale della bassa Leventina. Il vantaggio risiedeva nel sostegno cantonale a progetti di riqualifica e di marketing. Lo svantaggio era dovuto ai vincoli imposti dal Cantone, in particolare alla definizione di un indirizzo che avrebbe impedito ad aziende che non appartenevano al settore economico prescelto (per esempio la metallurgia) di insediarsi nella zona industriale. Una tale mancanza di flessibilità avrebbe addirittura obbligato delle aziende esistenti a emigrare altrove.
Il capannone ex Monteforno fu acquistato anni fa dalle Aziende Industriali di Lugano (Ail). Il Cantone concesse milioni a Lugano per costruire lo stadio. Come contropartita avrebbe potuto negoziare la cessione del capannone. Avrebbe poi potuto elaborare un piano di riqualifica, coinvolgendo altri enti pubblici e i privati, magari le stesse Ail. In questo modo, avrebbe aiutato sia la città che la periferia. Nel frattempo, le Ail non ne fanno niente. Probabilmente immaginano di poterlo vendere ad un prezzo “fuori mercato”, che in realtà non trova acquirente. La situazione è un tantino paradossale se si pensa che la Città di Lugano si lamenta di dover pagare i contributi di perequazione finanziaria destinati ad aiutare i Comuni in difficoltà. Ma se i Comuni della bassa Leventina sono in difficoltà è anche perché alle Ail va bene tenere il capannone vuoto.
Non bisogna disperare, poiché la zona industriale è viva, dà lavoro a circa 400 persone, possiede buone infrastrutture, collegamenti ferroviari e autostradali. Inoltre, vi si è insediato il campus formativo per gli apprendisti del settore dell’automazione e della poli-meccanica, grazie ad un gruppo di aziende pubbliche e private. Il Municipio del nuovo Comune di Giornico, che uscirà dalle urne il prossimo 6 aprile, dovrà però fare tutto il possibile per riqualificare la zona industriale e fornire il necessario sostegno ai privati interessati al capannone ex Monteforno.