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L’ipocrisia dei ‘buoni’ di fronte alla barbarie

Mi domando se quelli che si sentono “buoni e quindi propal” si porranno mai una domanda di fronte a ciò che sta accadendo. Se riusciranno a guardare la realtà senza nascondersi dietro slogan costruiti per evitare di ammettere l’inammissibile. Il punto non è più la solita discussione su “due parti in conflitto”, “oppressi e oppressori”, “resistenza” e “responsabilità storiche”. Il punto è che Hamas usa i cadaveri di bambini, donne e anziani come merce di scambio.

È questa la resistenza palestinese? È questa la causa che molti in Europa e altrove difendono con tanta veemenza? Chiunque abbia ancora un briciolo di coscienza dovrebbe fermarsi a riflettere. Hamas ha massacrato 1’200 persone in Israele, tra cui 53 bambini. Non soldati, non combattenti. Bambini. Alcuni arsi vivi, altri fucilati a bruciapelo, altri decapitati. La loro colpa? Essere israeliani, essere ebrei. Non è una supposizione: sono i fatti.

Eppure, mentre il mondo denuncia ogni operazione israeliana come crimine di guerra e le piazze si riempiono di cortei pro-palestinesi, questi 53 bambini sono diventati invisibili. Il loro martirio è stato rapidamente archiviato. Perché? La risposta è scomoda, ma necessaria: ammettere la loro morte significherebbe riconoscere che Hamas non è un movimento di liberazione, ma un’organizzazione terroristica. Significherebbe accettare che il problema non è l’occupazione o l’esistenza di Israele, ma un’ideologia jihadista che usa la vita e la morte come strumenti di guerra. Hamas non protegge i palestinesi: li condanna a una perenne tragedia. Non ho letto nessun commento oppure un’opinione a proposito. Ma c’è di più: i leader palestinesi sono corrotti. I miliardi di dollari di aiuti internazionali finiscono nei loro conti, mentre il popolo palestinese resta nella miseria e nella repressione. I diritti umani vengono calpestati ogni giorno, sia da Hamas a Gaza che dall’Autorità palestinese in Cisgiordania. Hanno bisogno della sofferenza palestinese per legittimarsi, raccogliere fondi e continuare la sua guerra infinita contro Israele. E chi oggi sostiene questa narrativa è lo stesso che in passato ha giustificato la rivoluzione islamica in Iran.

Negli anni 70 e 80, molti politici, intellettuali e giornalisti occidentali applaudivano Khomeini, celebrando la rivoluzione islamica come un trionfo del popolo. Oggi vediamo il risultato: un regime teocratico che opprime il suo popolo, donne frustate o uccise per non portare il velo, dissidenti giustiziati, una politica estera basata sul terrorismo. Hanno sostenuto quella rivoluzione e ora non hanno imparato nulla. Continuano a schierarsi con chi calpesta la libertà e la vita.

Ma la cosa più agghiacciante è il silenzio complice di tanti: intellettuali, attivisti, politici e giornalisti che scrivono commenti e opinioni, quelli che si sentono “buoni” e automaticamente pro-palestinesi, quelli che si indignano per Gaza ma non per i bambini israeliani massacrati, quelli che parlano di genocidio ma ignorano le fosse comuni di Hamas, quelli che, in nome di una causa che non comprendono, giustificano l’ingiustificabile. Non ci sono due pesi e due misure. Ci sono due realtà: chi uccide deliberatamente e chi cerca di difendersi, chi usa i civili come scudi umani e chi cerca di proteggerli, chi glorifica la morte e chi lotta per la vita. Negare questa realtà significa essere complici di un’ideologia di morte. Se il mondo non è disposto a riconoscerlo, allora la barbarie continuerà, con la benedizione ipocrita di chi si crede buono ma non ha il coraggio di guardare la verità in faccia.