La fotografia di Siro Quadri in discoteca con la sua collega Verda Chiocchetti ha fatto molto discutere. Ho esitato a scrivere questo breve pezzo: in fin dei conti, come tutti e tutte sembrano affermare, ognuno/a nella sua vita privata fa quello che vuole (nel limite ovviamente del rispetto delle altre persone e della legalità).
Poi ho letto e ascoltato i commenti di diversi rappresentanti dei partiti politici. Un coro unanime si è apprestato a ribadire la libertà di ognuno/a a comportarsi, vestirsi e relazionarsi come vuole e con chi vuole e fin qui tutto bene; ma poi sono cominciati i distinguo e le precisazioni, un po’ come chi dice “io non sono razzista, ma...”. E allora, mi è parso necessario scrivere queste brevi riflessioni.
In generale, infatti, tutti e tutte hanno definito il comportamento di chi decide di vestirsi con abiti che, secondo la norma sociale, appartengono all’altro sesso, come un atteggiamento poco chiaro, immorale o disdicevole…addirittura si arriva a sostenere che un simile comportamento rimetterebbe in discussione le competenze e le capacità professionali della persona coinvolta.
Insomma, la libertà va bene a patto che venga esercitata all’interno dei codici morali e sociali normalizzanti, patriarcali ed eteronormati. Perché, diciamocela tutta, se Siro Quadri fosse stato pizzicato ubriaco, intento a palpeggiare una donna o a saltare sui tavoli in un capannone di Carnevale urlando a squarciagola “chi non salta un… è”, molto probabilmente nessuno avrebbe avuto nulla da ridire; anzi, questi comportamenti sarebbero stati letti, come una bravata o uno scherzo, forse di cattivo gusto, ma di certo meno grave che vestirsi come si vuole.
Anche chi nelle piazze e sui social si fa paladino della difesa dei diritti della comunità LGBTQ+ ha ribadito che chi siede nelle istituzioni o le rappresenta dovrebbe attenersi a un certo decoro… come a dire che un uomo che si veste da donna è indecoroso e che i diritti della comunità LGBTQ+ si fermano alle porte delle nostre istituzioni… Un deputato dell’area progressista, forse per sembrare più aperto, ha giustificato questa posizione sostenendo che, anche lui, la domenica, quando esce a passeggiare, non indossa la tuta da ginnastica perché è un personaggio conosciuto e si vergogna a uscire con la tuta… ma perché mai? Ovviamente anche lui è libero di decidere di andare in spiaggia con la cravatta o al fiume con lo smoking, ma perché ne dovremmo parlare?
E che dire poi di coloro che mettono sullo stesso piano l’invio di meme da parte del giudice Ermani a una sua sottoposta e la foto di cui stiamo parlando, all’insegna (Righinetti dixit) del “chi di morale ferisce di morale perisce”? Dimenticando, naturalmente, che l’invio della foto del meme è un atto di molestia esercitato da un superiore gerarchico su una sottoposta, mentre la seconda è un atto assolutamente privato in un momento di divertimento, che non vuole colpire o molestare nessuno, né tantomeno esercitare pressione su chicchessia. Una bella differenza!
La pubblicazione della foto dei due giudici in discoteca, e soprattutto le discussioni che ne sono seguite, avevano evidentemente come unico scopo quello di colpire, punire e delegittimare chi in questi mesi ha cercato di farsi portavoce di una cultura del rispetto all’interno delle istituzioni e ha cercato di battersi contro il sessismo e le molestie nei luoghi di lavoro. Il dibattito attorno a questa foto ha messo in evidenza come ci sia ampiamente bisogno di persone e giudici come questi, indipendentemente da come vanno vestiti in discoteca… e mostra come la lotta per una battaglia per una società inclusiva e rispettosa dei diritti di tutt* sarà ancora molto, ma molto lunga.